Un buon motivo per dire “NO”
Un buon motivo per dire “NO”

Un buon motivo per dire “NO”

di Immacolata Ranucci, iscritta GD Prato

Uno degli argomenti più ricorrenti di chi voterà SI al referendum sul taglio dei parlamentari è: “al massimo non cambierà nulla”, riferendosi alla qualità della rappresentanza politica. E se invece qualcosa cambiasse, in peggio? 

Ma facciamo un passo indietro. Perché si crede che “al massimo non cambierà nulla”? Perché l’idea di base è che, una volta tagliato il numero di parlamentari, o saranno i peggiori a non essere eletti (quando prima invece riuscivano ad entrare in parlamento esclusivamente a causa del numero di posti disponibile), oppure la qualità media dei politici eletti rimarrà uguale (peggiori e migliori continueranno ad entrare in proporzioni identiche a quelle attuali, perché la loro elezione dipende dall’elettorato e non dal numero di posti, ma almeno si risparmia). 

Adesso facciamo un passettino di lato (destra o sinistra, scegliete voi, io consiglio a sinistra di solito). Ci sono quelli che “eh ma come facciamo a garantire la rappresentanza territoriale” se tagliamo il numero di parlamentari e quindi modifichiamo il rapporto tra cittadini rappresentati e rappresentanti. Come si fa? Beh, la verità è che, se il rischio maggiore consiste nella perdita di rappresentanza territoriale, sarà comunque abbastanza facile che, una volta ridotto il numero di parlamentari, un Parlamento più contenuto  trovi comunque un accordo su come garantire una migliore distribuzione dei rappresentanti rimasti sul territorio nazionale, tenendo conto di specificità locali, popolosità, ampiezza del territorio e quant’altro. Certo, il rischio di vedere ridotta la qualità della rappresentanza territoriale è concreto, ma il Senato (poveretto, sempre lui) potrebbe essere riadattato ad esigenze più impellenti. O in modo ancora più semplice, la legge elettorale potrebbe comunque essere modificata per rendere più equo il metodo di selezione dei rappresentanti. 

Tralasciando le argomentazioni del caffè al giorno e della distanza della politica dai cittadini, arriviamo al passo in avanti. Come già suggerito da Sara nel precedente articolo sull’argomento (qui il pezzo completo), “il taglio non farebbe che rafforzare la casta: con meno candidature a disposizione, i partiti tenderebbero a spingere i fedelissimi del leader di turno”. Adesso, amici e amiche, chiediamoci chi sono i fedelissimi. O meglio, chiediamoci chi è che più probabilmente rimarrà escluso dal cerchio dorato fatto di adulazioni, cene tra amici e pacche sulle spalle. Se la tua risposta è “le donne”: complimenti, hai fatto ambo. Se la tua risposta è “qualsiasi rappresentante di una minoranza (culturale prima che numerica)”: ding ding ding, TOMBOLA! Si sa, i circoli di potere sono club esclusivi cui è difficile accedere se non si è maschi bianchi cis etero normo-abili, e sono così esclusivi perché il luogo in cui nascono, crescono e si rafforzano non è l’aula del parlamento o altre sedi istituzionali, bensì tutti quei momenti informali in cui l’essere maschio (più aggettivi sopra citati) serve a comprendere e poter agire in quella specifica subcultura che è quella dei maschi bianchi etero cis normo-abili. Non stiamo parlando di rutti, amici e amiche. Parliamo di quel linguaggio fatto di battute (a scapito dei gruppi esclusi, ma che palle, adesso non si può più dire niente), immaginari condivisi e esperienze di vita che risuonano e si riconoscono l’una nell’altra (le esperienze di vita di donne, gay, trans, persone con disablità e minoranze etniche, si sa, sono “particolari”, non universali come quelle maschili basic, quindi non risuonano tanto bene, sono complicate, non conformi etc.). 

Ma ci sarà un modo per evitare tutto questo, no? Certo, ci abbiamo anche già provato, imponendo l’alternanza di genere nelle liste. Peccato che non siamo nemmeno vicini all’obiettivo del 40% di presenza femminile in Parlamento, nonostante lo sforzo. D’altronde si sa, fatta la legge, trovato l’inganno. E così i partiti (leggi: i vertici di partito, che ormai abbiamo capito come funzionano, a grandi linee) hanno trovato l’espediente delle pluricandidature: ed eccole là, le golden skirts, che compaiono nelle liste innumerevoli volte per poter poi cedere il posto al collega uomo. 

Quindi, per quanto possa essere fiduciosa nella capacità dei cittadini di scegliersi i rappresentanti migliori una volta ridotto il numero, lo sono meno riguardo alle decisioni che saranno prese per garantire una migliore qualità della rappresentanza su base sociale (non territoriale) da parte di un Parlamento che sarà inevitabilmente tendente – più di quanto non lo sia adesso – verso quell’universale maschile bianco cis etero normo-abile, che fatica tanto a non ritenersi derubato quando si parla di pluralità e inclusione delle minoranze. Se ci arrendiamo al “prima tagliamo le poltrone”, ché tanto poi il resto si sistema, allora non abbiamo ben chiaro quali sono i rischi della sottorappresentanza in un contesto in cui sottorappresentanza vuol dire, quasi sempre, essere invisibili

 

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