di Michele Arcidiacono, responsabile Integrazione GD Prato
La data del 20 settembre è ormai alle porte. Caricato di una forte dose di retorica, dopo essere slittato a causa del covid-19, l’appuntamento referendario arriva e trova gli italiani spaccati in due fazioni, in fermento e già schierati su fronti contrapposti: i sostenitori del Sì e quelli del No. L’annosa questione della riduzione del numero di deputati tra Camera e Senato è trasversale e trova sostenitori e avversari in quasi tutti gli schieramenti politici.
La volontà di riformare il Parlamento, dai più percepito pieno di ritardi e malfunzionamenti, arriva da lontano e non è certo una battaglia esclusiva di questo Governo. Si pensi per esempio alle tante volte in cui da destra a sinistra si è tentato di riformare il bicameralismo paritario (cosa a cui peraltro nemmeno si punta con questa riforma). Tuttavia, a mio parere, non è molto facile questa volta andare a leggere in controluce le vere motivazioni che stanno dietro alla presa di posizione di una parte o dell’altra.
A volte una sedicente politica sa essere cinica e spietata: disposta a dare in pasto riforme costituzionali importanti in cambio di una ritorno in termini di consenso contingente che va ad alimentare l’antipolitica, il vero tarlo della dignità delle istituzioni. È noto ai più, ormai, come in fin dei conti questo referendum venga utilizzato dal movimento 5 stelle (Di Maio) come un ricatto per il mantenimento dell’alleanza, quanto mai precaria, con il PD a Roma. A ciò attengono dinamiche che con il merito del quesito referendario hanno poco a che fare. Si paventa uno scambio di favori di non ostruzione reciproca, per far tirare avanti la coalizione. Dopo questa premessa, mi piacerebbe, pur non avendo alcuna competenza giuridica degna di nota, sottolineare come un taglio architettato a tavolino e in maniera così netta e indiscriminata dei rappresentanti non possa che ledere i rappresentati. In altre parole, ridurre i parlamentari senza un criterio valido e condiviso con i cittadini rischia di compromettere il meccanismo democratico di rappresentanza. Pensare che una soluzione adeguata a risolvere i tanti problemi che attanagliano il nostro Paese sia ridurre i lavoratori di Montecitorio e Palazzo Madama è ingenuo.
Tagliare sulla politica, a mio modo di vedere è utile a partiti o movimenti che non hanno nessuna intenzione di spendere tempo, denaro ed energia sulla formazione politica: è come tirare i remi in barca, arrendersi alla deriva populista. Ricavare un risparmio poco più che simbolico riuscirà magari a placare gli animi di coloro che in questi anni hanno fatto dell’antipolitica una bandiera, ma non avrà una forte incidenza reale nella vita quotidiana ed inoltre creerà una classe privilegiata, soggetta una volta di più alle logiche perverse di una politica che si fa sempre più casta ristretta.
Conscio della linea incoerente ma comprensibile per gli equilibri governativi intrapresa dal mio partito dopo al direzione nazionale, mi sento di propenso ad un voto in favore del No al referendum, fiducioso che questo si possa tradurre in una affermazione per maggiore rappresentatività e democrazia dal basso.