Soli e ricattabili: non svendere i diritti per il mercato.
Soli e ricattabili: non svendere i diritti per il mercato.

Soli e ricattabili: non svendere i diritti per il mercato.

Di Aksel Fazio responsabile lavoro e sviluppo dei Giovani Democratici di Prato.

 

La nostra è sempre più la società dei contrasti. Vecchi contro giovani. Sono le conseguenze del neoliberismo, che ha esasperato la competizione marcando i caratteri divisivi e disgregatori. Il risultato è che siamo sempre un po’ più soli, nella società, sul posto di lavoro. Siamo diventati complici offuscando quel principio di empatia che univa tutti i lavoratori, scagliandoci contro i nostri pari e, talvolta, anche coi più deboli. Sono caduti i rapporti di fiducia, nella rappresentanza, sindacale e politica. Stiamo vivendo nuove forme di sfruttamento che hanno terreno fertile grazie all’isolamento che ognuno sperimenta, anche di fronte ad un colloquio. Siamo più disposti ad accettare di scambiare i propri diritti con la concessione di un posto di lavoro, colpevolizzati dalla società se non ci pieghiamo di fronte alla narrazione che “ci si deve sacrificare per il lavoro”.

Se ci sono differenze anagrafiche, forse è perché i giovani subiscono in più il furto delle garanzie sul futuro, privati degli strumenti per poter progettare su se stessi e non sulle esigenze di un’azienda. E per questo siamo più deboli nelle contrattazioni. Il mercato quindi promuove forme di contratto dove sei responsabile per il tuo lavoro, ma non sei il principale beneficiario; è il caso dei contratti a collaborazioni, del nuovo uso delle partite iva, della gig economy o lavoro intermittente. Dove le condizioni sono comunque imposte. Ma un lavoro è necessario, per vivere, per essere indipendenti, per fare ciò che più ci piace. Solo che poi il tempo per se stessi non c’è più, il tempo speso negli studi, nella formazione, non è ricompensato, le proprie inclinazioni e desideri inascoltati.

Si parte da quando la formazione è ancora tra i muri scolastici, e i tirocini sono usati per omologare forza lavoro a basto costo. Ripartire da lì è la nostra risposta. Valorizzare l’accessibilità a percorsi che formino il cittadino prima del lavoratore, valorizzare il tempo e le risorse del tirocinante. Corrispondergli un rimborso adeguato. Perché si formi la consapevolezza che non siamo merce a ribasso su un bancone, che non si può raschiare plus-valore dalla pelle dei lavoratori, solo perché si è costretti a lavorare. Altrimenti i fenomeni di sfruttamento vero aumenteranno, ormai totalmente inseriti in una logica per cui possiamo svenderci pur di guadagnare qualcosa.

Serve una politica nuova, che metta al centro il lavoratore prima del lavoro e del mercato, che sappia analizzare con anticipo le trasformazioni del mondo del lavoro, per proporre delle soluzioni che non siano contingenziali, ma strutturali. Serve rafforzare il dialogo con i sindacati per ritornare ad essere realmente rappresentativi e anticipare i cambiamenti, non subirli. Istituire osservatori di ricerca per affiancare con i dati le esperienze dei lavoratori e delle associazioni. Un dialogo che dovrebbe spingere i sindacati a riformarsi per essere reali interpreti dell’attuale struttura lavorativa. Serve stimolare un dibattito culturale che cerchi alternative ad un sistema lavorista e neoliberista, per una società inclusiva anche verso chi non è grado di produrre, un processo che rifiuti la retorica del:” si è sempre fatto così, è la gavetta per fa carriera, ci si deve sacrificare”.

Ridare dignità al lavoratore, non solo al lavoro. Alla costruzione di ambienti di lavoro sostenibile ed etico. Alla rinascita di una consapevolezza dei propri diritti e dei mezzi per tutelarsi. Il mondo si divide in chi è costretto a lavorare per vivere e chi vive sul lavoro degli altri, non possiamo rassegnarci e smettere di lottare.       

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