Sensibilizzare ed educare non sono la stessa cosa
Sensibilizzare ed educare non sono la stessa cosa

Sensibilizzare ed educare non sono la stessa cosa

di Immacolata Ranucci, tavolo Integrazione GD Prato

Sensibilizzare ed educare non sono la stessa cosa. Per avere un certo tipo di risultato, bisogna usare gli strumenti adeguati. La scelta delle parole diventa fondamentale, perché influenza il modo in cui ci approcciamo ad una questione e quali strumenti decidiamo di adottare. Ma procediamo con ordine, partendo dalle definizioni.

Sensibilizzare, in senso figurato, significa “rendere particolarmente sensibile (una o più persone, un gruppo sociale, una collettività) a un problema, a una situazione, richiamandovi l’attenzione e l’interesse con opportuni mezzi” (Treccani). Il Dizionario Italiano Olivetti approfondisce il significato dell’essere sensibili introducendo i concetti di consapevolezza e partecipazione: sensibilizzare vuol dire quindi “rendere qualcuno cosciente e partecipe di una situazione”. Per riassumere, la sensibilizzazione ha bisogno di cinque elementi: il problema o la situazione centrale su cui fare sensibilizzazione, l’azione attiva al fine di rendere sensibile, l’uso di mezzi opportuni (campagne di sensibilizzazione, stampa, attività organizzate etc.), la definizione del target di riferimento a cui è diretta l’operazione di sensibilizzazione e il fine dell’operazione di sensibilizzazione che consiste in una maggiore partecipazione o coscienza circa l’iniziale problema/situazione.

Il primo significato di educare è “promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche, e delle qualità morali di una persona, specialmente di giovane età”, a cui si aggiunge un secondo significato, declinabile anche nella forma riflessiva (educarsi), che consiste nel “sviluppare e affinare le attitudini e la sensibilità” (Treccani). Pertanto, l’educazione porta con sé alcuni elementi che non ritroviamo necessariamente nel concetto di sensibilizzazione. In primo luogo, l’educazione passa anche attraverso l’esempio, richiedendo che l’insegnante non solo predichi bene, ma dimostri con le proprie azioni, in modo continuo, quale deve essere l’effetto di tale predicamento. In secondo luogo, l’oggetto dell’educazione non è solo oggetto passivo (come implicitamente inteso nel concetto di sensibilizzazione, dove l’agente attivo è solo chi promuove la sensibilizzazione) ma diventa soggetto e agente attivo nel momento in cui partecipa allo sviluppo delle proprie qualità morali e facoltà intellettuali.

La parola sensibilizzazione sembra dunque più adeguata a definire un’azione temporalmente definita, che consista nella trasmissione di informazioni specifiche su un argomento e che abbia lo scopo di aiutare la persona ricevente a comprendere quale sia la rilevanza del tema in questione e quali azioni poter intraprendere, nel caso si ritrovi essa stessa in tale situazione.
Tuttavia, se la questione riguarda più ampiamente un senso etico e di giustizia (sociale), se ha a che fare con la quotidianità della pratica, se necessita di uno sradicamento a tappeto delle abitudini e del pensiero dominante e se lo strumento verbale non può non essere affiancato da un costante e coerente esempio a cui poter guardare e da poter imitare, allora ciò di cui abbiamo bisogno non è sensibilizzazione, ma educazione.

E dunque, quali sono questi temi che richiedono educazione, piuttosto che sensibilizzazione? Per iniziare, la violenza di genere e le discriminazioni di genere in generale, che oggi, 25 novembre, non possiamo che citare per prime. La violenza di genere riguarda tutti e tutte: vittime, carnefici, spettator*. Nessuna donna è veramente al sicuro e le statistiche, quanto mai allarmanti in questo anno appena trascorso nel segno di una pandemia, dipingono un quadro terribile. La violenza di genere è quella commessa nelle stanze dei colloqui di assunzione, in cui ad una donna si propone uno stipendio più basso, a parità di mansione. È quella commessa nel silenzio delle mura domestiche, anche prima di arrivare alla violenza fisica. È quella che si diffonde come un virus rimbalzando tra le chat del calcetto e le chat dei genitori. È quella che assume la forma di un titolo di giornale che romanticizza un femminicidio, che si ritrova nelle parole di chi giustifica il carnefice e colpevolizza la vittima. È il programma tv che offre una narrazione del mostro, e insieme a questa offre un capro espiatorio e la possibilità di dire “io no, io non sono così”. È ovunque, è sottile, è preesistente. La violenza di genere arriva prima della parola, quando i tuoi genitori ti mettono in mano un gioco “da femmina” o “da maschio” in base alla conformazione dei tuoi genitali e, da lì in poi, impari che il mondo ti tratterà in modo diverso in base a quella sola caratteristica. Per questo, e molto altro, per combattere la violenza di genere abbiamo bisogno di educazione. Sensibilizzare non è abbastanza.

Ma non finisce qui. Anche il razzismo, l’omo-bi-transfobia l’abilismo e il classismo hanno tutte le carte in regola per rientrare nella lista dei fenomeni/abitudini per cui la sensibilizzazione non è sufficiente. Educare all’antirazzismo vuol dire fare molto più, e molto meglio, che sensibilizzare alla diversità del colore della pelle e alla convivenza delle etnie.

Abbiamo bisogno di cittadin* educat* e consapevoli, che non solo riescano a riconoscere la discriminazione sociale quando se la trovano davanti (magari con un’insegna luminosa che indica dove guardare) ma che anzi pratichino il buon esempio e contribuiscano, quotidianamente, al rafforzamento del tessuto sociale, primariamente attraverso un processo di autocoscienza. Abbiamo bisogno che le istituzioni non si limitino ad attivare campagne informative e di sensibilizzazione, ma che diano l’esempio: scegliendo, sempre, le parole adeguate; preferendo, sempre, un linguaggio inclusivo; agendo, sempre, nell’interesse delle vittime, reali o potenziali. Abbiamo bisogno di un sistema educativo e scolastico più attento e più partecipe.
E abbiamo bisogno che tutt* siano educat*.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

http://www.nextprato.it/
X