Ricerca che ti ricerca si rimane disoccupati
Ricerca che ti ricerca si rimane disoccupati

Ricerca che ti ricerca si rimane disoccupati

di Saul Santini, responsabile Ambiente GD Prato

Nel periodo che stiamo attraversando sempre più forte e stimolante si è levata la voce di professori, persone profuse di scienza che aleggiano tra canali televisivi e comitati tecnici snocciolando competenze e virtù del proprio studio e delle proprie conoscenze. Conoscenze acquisite negli anni, nel corso di intenso lavoro, competizione, stress e fortuna. Le componenti che entrano in gioco nel mondo  della ricerca, anzi, nel mondo di ricercatori, assegnisti, dottorandi, borsisti sono molte e per rimanere dentro al sistema bisogna farsi lo stomaco e scendere spesso a compromessi personali.

Come descritto dall’ADI (associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) negli ultimi quattro anni solo 3440 su 54400 precari sono stati assunti dalle Università come RTD (ricercatori a tempo determinato), ne segue che solo il 6,3% continuerà il proprio lavoro di ricerca. Il 27% di questi lavoratori precari ha  conosciuto la disoccupazione, il 63% rimanda un progetto di famiglia, un terzo non ha accesso a un finanziamento e al mutuo, nel 38% dei casi il congedo facoltativo non viene impiegato per ragioni eonomiche o per la paura di conseguenze sul posto di lavoro. Contratti sottopagati, dove le persone svolgono mansioni non retribuite, non definite nel rapporto di lavoro, ma che sei costretto a compiere se vuoi competere al gioco al massacro della ricerca italiana. Una lotta fra poveri, una lotta fra gli ultimi della catena trofica universitaria. Non vi è né uno stato giuridico, questione rimandata da più di  quarant’anni, né una reale rappresentanza sindacale. Quelle conoscenze che pochi riescono a pronunciare davanti a così tante persone, sono il frutto di sacrifici e di passione, di grande studio e devozione, sono il lavoro di migliaia e migliaia di persone che sono passate da quel mondo e poi sono state costrette ad abbandonarlo.

La domanda sorge spontanea. Chi te lo fa fare? Perché iniziare un percorso che per il 93,7% dei casi si interromperà? Perché ostinarsi a lavorare in un ambiente malsano e continuare a fare ricerca?

La risposta, forse, sta nel desiderio dell’uomo di capire l’ignoto, nella voglia e nell’aspirazione di contribuire a capire quello che ci circonda, provare a risolvere il puzzle, senza un fine unicamente utilitaristico. Spesso la ricerca è fatta di fallimenti, anzi il più delle volte vengono percorse strade che non portano a niente, ma è in questo continuo susseguirsi di tentativi fallimentari l’essenza della ricerca, battere tutte le strade, consapevoli che la maggior parte saranno senza fondo, pur di trovare quella che poi verrà battuta. La ricerca è la creazione e il mantenimento di una rete globale di conoscenza di diffusione e arricchimento culturale e scientifico della società. Al di là di tutta questa pantomima retorica, tutto può essere riassunto nella seguente frase di Feynman (leggermente riadattata): “la ricerca è come il sesso: non c’è dubbio che facendola si ottengano dei risultati pratici, ma non è per quello che la si fa”.

Tutto questo può essere sufficiente a giustificare le disastrose condizioni di lavoro dei ricercatori? No, certo che no. Boris non può aver ragione, lo sfruttamento non può assolutamente essere giustificato dalla passione!

La valorizzazione del lavoro di Ricercatore non è ovunque come in Italia, lo sappiamo e non starò qui a dire quanto sia più dignitoso svolgerlo altrove, ma perché costringere tali soggetti a queste scelte personali drastiche quando in realtà dovrebbero rappresentare una ricchezza per la società?

I ricercatori non sono produttori, né aziende che devono fornire utili economici, i ricercatori lavorano e devono essere quindi tutelati e trattati come lavoratori, garantendo dignità e il rispetto del ruolo che ricoprono.

I ricercatori fanno parte di una di quelle categorie con poche tutele, continuamente sotto ricatto e abbandonata a sé stessa e come spesso succede nelle categorie lasciate a loro stesse questa ormai è diventata la normalità. Accettato da tutti, compresi i ricercatori rassegnati a combattere l’uno con l’altro per ottenere più punti o il favore dei responsabili, per l’ambito contratto di lavoro. Non è corretto attribuire colpe a persone continuamente sotto ricatto è però importante che vengano rese note le loro condizioni, che vengano ascoltate e le loro istanze portate avanti. Una forza di sinistra non può non accorgersi di ciò che sta succedendo al mondo della ricerca ormai da decine di anni e ignorare giovani lavoratori a loro stessi, a precariato e povertà. Una forza di sinistra deve prendersi cura delle categorie più deboli.

In linea con le proposte dell’ADI è necessaria una radicale riforma del preruolo, cercando di integrare un maggior numero di lavoratori, un unico contratto di ricercatore e finanziamenti pubblici pari a quelli dei partner europei. Cercare di riconoscere più diritti per coloro che costituiscono le basi di quel contesto che dovrebbe aspirare a costituire le più alte vette culturali della nostra società e spesso si rivela amaramente il sistema meno evoluto.

 

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