Scuola: il teatro dell’inclusione
Scuola: il teatro dell’inclusione

Scuola: il teatro dell’inclusione

di Benedetta Nevola

PERCHE’ L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA?

Una società in continuo mutamento ha bisogno di una scuola che affronti le nuove sfide e gestisca le novità nel campo della didattica, dei metodi d’insegnamento, dell’edilizia scolastica, le differenti necessità culturali e pedagogiche, le variegate e frammentate personalità degli alunni, la gestione delle nuove tecnologie, la sensibilizzazione di coloro che saranno cittadini su temi particolarmente importanti e così via.

Un simile funzionamento non può prescindere dalla conoscenza delle diverse esigenze degli studenti.

La scuola è un potentissimo strumento di uguaglianza ed uno dei principali pilastri della democrazia: attraverso la scuola ogni individuo passa dall’essere legalmente eguale agli altri all’acquisizione dei mezzi e degli insegnamenti per poter effettivamente divenire un cittadino consapevole ed un essere umano capace di interagire con una comunità di persone.

Affinché la scuola abbia pienamente tale ruolo è necessario che conosca gli studenti e sappia valorizzarne le peculiarità partendo dalle loro inclinazioni ed impostandosi sulla base delle necessità pedagogiche e delle esigenze dei singoli alunni. Altrimenti essa, se incapace di inclusione, è come un ospedale che cura i sani e respinge i malati, citando Don Milani.

QUAL E’ LA SITUAZIONE ATTUALE?

Prato è la prima provincia italiana per percentuale di alunni stranieri nati in Italia. L’Europa, con la strategia di Lisbona, chiede a tutti i paesi membri di impegnarsi a non oltrepassare il 10%, ma la realtà è ancora lontana, poiché nei paesi Ue siamo al 14,1%; in Italia al 18,9 (Dossier Statistico Immigrazione,redatto da Caritas-Migrantes) e in Toscana al 17,8.

L’abbandono scolastico degli stranieri è dunque davvero rilevante: basta guardare il seguente grafico, che ci porta ad una preoccupante constatazione. Da esso emerge infatti la mancanza di continuità: osservando la percentuale di studenti che iniziano il loro percorso nelle scuole pratesi fin da piccoli, questa diminuisce durante il corso degli studi con un discrepanza particolare dopo la scuola dell’obbligo (circa il 45%).3Le cittadinanze rappresentate nella scuola pratese sono ben 87. Nell’anno scolastico 2013 si contano 7,737 alunni stranieri, pari al 21,2% dell’intera popolazione scolastica. Gli studenti che non hanno la cittadinanza sono soprattutto cinesi, che rappresentano il 44,4% degli alunni stranieri (sono il 65,8% di coloro che abbandonano); seguono, nell’ordine, albanesi ( 20%), rumeni ( 7,6%), marocchini ( 6,8%) e pakistani( 5,2%). A ruota nigeriani, bengalesi, peruviani, filippini e ivoriani.2.jpg

Il numero di studenti stranieri frequentanti le scuole pratesi, infatti, è aumentato in modo evidente nel corso di 10 anni.1QUALI SONO LE NOSTRE CONSIDERAZIONI?

Il sistema scolastico italiano dev’essere in grado di valorizzare gli alunni stranieri e di favorire il loro pieno inserimento nelle attività della classe. Devono essere combattute le difficoltà linguistiche, ulteriore motivo di abbandono scolastico, il cui tasso aumenta tra gli studenti iscritti alle superiori dove il linguaggio diventa sempre più specialistico, astratto e decontestualizzato. L’impossibilità di partecipare alla vita scolastica può innescare un senso di frustrazione e di demotivazione negli alunni che li porta, quindi, a isolarsi e a rifiutare qualsiasi tipo di interazione sia con i compagni che con l’insegnante.

Nel difficile processo di costruzione della nuova identità all’interno di una realtà a volte poco comprensibile, giocano un ruolo fondamentale anche le famiglie. Dalla discontinuità degli studi emersa dai grafici e dai dati sopra riportati, infatti, risulta evidente la mancanza di un servizio di orientamento adeguato e della ricerca di un contatto costante e dialogico con le famiglie per arginare l’abbandono.

In particolar modo, per quanto riguarda gli alunni cinesi, l’attenzione dei genitori nelle famiglie che si trovano in Italia è del tutto protesa verso la loro affermazione economica, verso la quale devono convergere tutte le risorse umane e materiali disponibili. Quindi è diffusa la percezione che lo studio non serva a migliorare o cambiare lo status sociale e lavorativo, e sopratutto nel caso in cui lo studente non ottenga da subito ottimi risultati può verificarsi che la famiglia stessa intervenga per distogliere le attenzioni dei giovani dallo studio e dirigerle verso le attività familiari.

Ulteriori problemi sono costituiti da ragioni burocratiche, in quanto alcuni diplomi di licenza media, tra cui quello cinese, non sono titoli riconosciuti in Italia; ciò impedisce l’iscrizione al primo anno delle superiori. In questo caso, se lo studente è ancora nell’età dell’obbligo scolastico viene inserito in una scuola media, oppure deve rivolgersi a strutture che organizzano corsi per adulti, ma in entrambi i casi si trova in un ambiente non adatto al suo livello di età che non risponde ai suoi bisogni linguistici e cognitivi.

Per la costruzione di una società coesa e solidale e con l’intento di coniugare diritto all’istruzione e di cittadinanza, si è pensato ad un protocollo d’intesa rinnovato il 5 Novembre 2009 dopo che è stato ratificato per la prima volta il 23 Aprile 2007: con questo si cercava di garantire pari opportunità nell’accesso all’istruzione e nel proseguimento degli studi, accoglienza, incontro fra culture, promozione di valori e diritti fondamentali per i cittadini, adeguamento delle politiche per la scuola e per l’immigrazione alla realtà complessa del territorio pratese. Interventi come questo manifestano la volontà di trovare soluzioni strutturali, ma ancora, come dimostrano i dati riportati, non si sono raggiunti risultati sufficienti.

CHE FARE?

Con l’obiettivo di comprendere quali siano le opinioni e le esperienze degli studenti delle scuole superiori a Prato, abbiamo deciso di lanciare una campagna d’ascolto. Vogliamo coinvolgere gli studenti delle varie scuole in una riflessione collettiva sulle particolari problematiche che le caratterizzano, che siano queste di carattere architettonico, didattico, economico o altro.

Questa volontà nasce dalla convinzione che studi sociologici e dati statistici non possano essere sufficienti nell’analisi e nel tentativo di trovare una risoluzione ad un problema, se non si chiamano ad esprimersi i diretti interessati: gli studenti. Per questo è fondamentale che partecipino anche alla discussione sulle possibili soluzioni.

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