Roma: piazza della morte o della rinascita?
Roma: piazza della morte o della rinascita?

Roma: piazza della morte o della rinascita?

Stefano Ciapini, coordinatore tavolo Attualità GD Prato

Il Def, il decreto Salvini e la manifestazione PD di domenica sono stati senza dubbio gli argomenti caldi degli ultimi giorni. Questi tre snodi sono stati cruciali sia per la maggioranza che per l’opposizione, ed in particolare hanno rappresentato per il Partito Democratico un’ulteriore cocente sconfitta. Per quanto riguarda le due manovre governative si dirà che più che opporsi fermamente alle Camere – cosa che, per carità, è stata fatta – non si poteva fare altro. Vero, ma il punto non è questo, e ci arriverò a breve. Per quanto riguarda la manifestazione a Roma, definita come risveglio democratico, che ha visto tra i 50.000 ed i 70.000 partecipanti, si esprime grande ottimismo. Ma su cosa stiamo basando questa nostra opposizione? Su cosa stiamo basando, più in generale, questa nostra resurrezione democratica?

Stiamo fondando le nostre battaglie su argomenti vuoti (pur con le dovute eccezioni) che rappresentano di volta in volta un chiodo in più sulla nostra bara. La fine del Partito Democratico è ancora lontana, o almeno è quel che mi auguro, ma se si continua ad utilizzare la solita retorica trita e ritrita priva di contenuto politico, passando tra l’altro il testimone a dei giovanissimi aspiranti leader “pappagalli” degli attuali capi, significa che non si sono capiti gli errori compiuti nel recente passato e la loro forza distruttiva. Ci si affida (nella più rosea delle eventualità, viste le condizioni in cui si versa) al fallimento degli altri aspettando che sia nuovamente il nostro turno al governo per poi accogliere nuove sonore ed inevitabili sconfitte. Oppure alla fine, nella peggiore delle eventualità, fra qualche tempo ricorderemo il Partito Democratico come un esperimento non riuscito e sepolto.

Vengo al succo del discorso, ovvero ai tre snodi a cui facevo riferimento poc’anzi. Prima di tutto mi preme sottolineare come facendo opposizione al Def ci si stia coprendo di ridicolo, non perché si portino avanti argomentazioni false, bensì perché si tratta di argomenti privi di quel contenuto politico che finalmente ci potrebbe contraddistinguere come partito di Centrosinistra. Critichiamo il Def nel metodo e non nel merito: lo attacchiamo per lo spreco di soldi pubblici, ma non una parola sui contenuti, eccezion fatta per la “contromanovra” PD passata fin troppo in sordina, e comunque parca di sostanza politica. Dovremmo rivendicare, tra l’altro, la possibilità per uno Stato di fare un ragionevole quantitativo di deficit al fine di produrre politiche sociali importanti, invece ci ergiamo a partito della regolarità dei conti e della salute dei mercati finanziari. Non sono cose sbagliate del tutto: bisogna essere razionali e oculati negli investimenti, evitando di scialacquare il denaro dei cittadini, ma questo non significa che si debba rinnegare il DNA della sinistra italiana, caratterizzato da una storia secolare di invidiabili politiche sociali raggiunte e finanziate tramite l’investimento pubblico. È qualcosa da cui ci stiamo fin troppo distaccando. Dobbiamo tornare a combattere per la possibilità di investire, non possiamo rendere la sinistra sinonimo solamente di diritti civili a costo zero ed inesistenti diritti sociali, cosa che già siamo stati. Rispetto a questo Def pentaleghista non dobbiamo fare resistenza sui conti, ma su quella che è l’ingiustizia della Flat Tax e su quelle che sono le storture del Reddito di Cittadinanza, per rimarcare con forza cosa faremmo noi se si potesse investire quel denaro pubblico in politiche sociali coraggiose e di Centrosinistra. Tutto questo ammesso che chi guida e tenta di guidare il Partito abbia chiara la ricchezza culturale di cui si fa portatore. Non ne sono più sicuro, anzi.

Per quanto riguarda le misure del governo sull’immigrazione, pur facendo opposizione al decreto Salvini, rivendichiamo i suoi stessi risultati in quanto a sbarchi e rimpiangiamo le misure di Minniti che, per quanto buone nelle intenzioni, hanno avuto risultati tragici e disumani sulle persone colpite dall’effetto di tali manovre all’origine dei flussi. Non è necessario commentare oltre questo punto.

Veniamo ora al terzo snodo, ovvero la magnifica manifestazione presso Piazza del Popolo di domenica. La definisco “magnifica” per la speranza che il numero di partecipanti ha dato, ma al tempo stesso dico “magnifica” anche con forte ironia. Si è trattato infatti di un palcoscenico per una classe dirigente (ancora una volta, con le dovute eccezioni) che non ha fatto altro che ripetersi, di nuovo con gli stessi argomenti vuoti, proponendo una “resistenza civile” senza darne i cardini valoriali, attaccando ancora una volta il “fuoco amico” in maniera inopportuna, predicando per l’ennesima volta una finta unità, sinonimo di pensiero centralizzato ed intollerante delle idee avverse. L’unità di cui abbiamo bisogno – e che molti dei militanti hanno chiesto a gran voce – è un’unità pluralista fuori e dentro al Partito, la cui classe dirigente, in nome di questa stessa unità, si faccia carico dell’ascolto degli iscritti, delle associazioni, dei sindacati e dei cittadini, per costruire insieme scelte politiche e riforme coraggiose e non tirando dritto nonostante tutto e tutti.

In questa “resistenza civile”, in questo opposizione vuota, germogli di un rivisto Partito Democratico continuano a nascere. Un partito che faccia tesoro dei passi falsi ed impari che non basta gridare alla novità che spazza via il passato per guidare la società. Questo forse è sufficiente per appropriarsi della struttura partitica e dilaniarla, come già è stato fatto, ma non basta per farsi portatori di politiche di Centrosinistra.

Dunque siano d’ispirazione ad un rinnovato Partito le scuse di Maurizio Martina:

Abbiamo capito, abbiamo capito. Adesso però dateci una mano. Ci avete dato una lezione. Allora più unità, più ascolto, meno arroganza e meno vanità. […] Dobbiamo ripartire dai più deboli senza vergognarci di dirlo, dalla lotta alle disuguaglianze. […] Ha ragione Jeremy Corbyn: c’è stata in questi lunghi anni una avidità del capitalismo che anche noi non siamo riusciti a vedere. Serve un nuovo umanesimo che riparta dalle persone, per proteggerle”

Questa è veramente l’ultima chiamata: o si muore o si rinasce davvero.

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