Rojava: terrorismo turco o americano?
Rojava: terrorismo turco o americano?

Rojava: terrorismo turco o americano?

Di Edoardo Risaliti, responsabile Tavolo Europa e Politica Estera

Il 7 ottobre 2019 Donald Trump ha annunciato il ritiro delle forze americane dal nord-est della Siria dichiarando:
«I curdi hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati molti soldi e hanno ricevuto l’equipaggiamento per farlo. Hanno combattuto la Turchia per decenni. Si sono trattenuti da questo scontro per tre anni. Ma è tempo per noi di uscire da queste ridicole guerre infinite, molte di loro tribali, e portare i nostri soldati a casa», continua scrivendo su Twitter: «Combatteremo dove sarà di beneficio per noi, e combatteremo solo per vincere».
Questo dimostra la completa noncuranza dell’instabilità lasciata dagli Stati Uniti in un territorio fragile, instabile e palesemente a rischio di “scontro” come sottolinea conscio dei fatti il presidente Trump.
Così facendo viene permesso di fatto ai Turchi di invadere il Rojava, zona per buona parte popolata dai Curdi che senza la presenza americana rimane con un fronte scoperto dalla protezione americana. Ma facciamo un passo indietro.
Perché il presidente Recep Tayyip Erdoğan dovrebbe voler attaccare la Turchia?

La minaccia percepita dal despota turco si può individuare nel modello di governo nella regione del Rojava.

Questa zona della Siria settentrionale, nota anche come Curdistan siriano, è un’amministrazione autonoma kurdi; durante la guerra civile famiglie kurdi di varia provenienza sono andate a rinfoltire le fila della popolazione kurdi del Rojava, fino ad arrivare ad occupare circa la metà dell’area. Questo agglomerato etnico riesce tuttora ad autogovernarsi e a governare i tantissimi arabi e arabi siriani presenti nella zona, circa l’altra metà della popolazione.
Questa è di fatto l’unica zona stabile della Siria, una delle poche in cui sono presenti ricostruzioni in seguito ai conflitti degli ultimi anni.

Inoltre tutto il nord Rojava è abitato da Kurdi, Armeni e Assiri che sono in gran parte discendenti di migrazioni dalla Turchia. Migrazioni di fuga dalle pulizie etniche ottomane e poi turche di armeni, assiri e curdi di Turchia.

Erdogan sta cercando di spezzare questa realtà di governo, funzionante grazie al confederalismo democratico che è storicamente l’ideologia dei curdi.
Molto spesso le guerre si fanno per paura di una potenza in ascesa, di un attacco a sorpresa o di un’idea vincente; idea che si è dimostrata funzionante, creando un modello di gestione del territorio che farebbe perdere alla “Repubblica Presidenziale” del tiranno Erdogan ogni autorevolezza.

I curdi, popolo senza un proprio territorio delimitato da confini riconosciuti, sono stati tra i più importanti protagonisti della lotta all’ISIS, se non l’unico punto di forza a difesa dell’occidente.
Ultime notizie riportano che la Turchia sta usando gruppi jihadisti dichiaratamente legati all’organizzazione terroristica al Qaida per fare la guerra alle forze curde nel Nord-es

t siriano. A provarlo è lo stesso gruppo che si fa chiamare Ahrar al Sharqiya. Proprio ieri, domenica 13 ottobre, il gruppo terroristico ha annunciato tramite un suo comandante militare, che il suo gruppo è riuscito a prendere il controllo di una cittadina che si trova sull’autostrda Aleppo-Qamishli, tagliando di fatto la stessa autostrada e parte dei rifornimenti di SDF (forze curde). Ahrar al Sharqiya è composto da un gruppo di ribelli siriani armati, di ideologia islamista. Fondato da alcuni fuoriusciti dall’ex filiale siriana di al Qaida, il gruppo è stato anche accusato di stretta alleanza con il cosiddetto Stato Islamico. Nell’ottica dell’operazione “Fonte di pace” lanciata mercoledì 9 dal presidente turco Erdogan, sono i combattenti curdi di SDF e YPJ (milizia curda femminile) a essere considerati terroristi; ovvero gli stessi combattenti che in cinque anni di guerra e sostenuti da Washington sono riusciti a sconfiggere i tagliagole dello Stato Islamico.

Il Rojava non può essere lasciato alla mercé dei Turchi. Occorre una presa di posizione dell’Italia e dell’Unione Europea, l’unica forza in grado di poter esercitare un’influenza decisiva in questa fase politica a favore della Siria e dei Curdi; non basta una semplice condanna dell’azione turca. È necessario che le istituzioni dell’Unione si adoperino per istituire degli strumenti utili al fine di affrontare situazioni simili in futuro, come un Esercito Unico Europeo e pesanti sanzioni tramite dazi ed embargo da tutti i paesi membri contro la Turchia; esortiamo inoltre la Repubblica Italiana affinché agisca immediatamente come hanno già fatto Germania e Francia, interrompendo i commerci, soprattutto di armamenti, con essa.

Citando le parole di Abdullah Öcalan, fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, combattente per i diritti di questi ultimi, per l’ecologia, per l’emancipazione della donna e ideatore del modello di amministrazione autonoma curda:
«Il diritto all’autodeterminazione dei popoli include il diritto ad un loro stato. Tuttavia, il costituirsi di uno stato non aumenta la libertà di un popolo.»

Lottiamo per il Rojava, lottiamo per la libertà curda.

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