3 Ottobre 2013: quando tutto doveva cambiare
3 Ottobre 2013: quando tutto doveva cambiare

3 Ottobre 2013: quando tutto doveva cambiare

Di Maria Logli, Responsabile integrazione e politiche sociali GD Prato

 

Il 3 Ottobre 2013, 6 anni fa, avvenne la più grande tragedia nel Mediterraneo di questo secolo: almeno 368 migranti morti a poche centinaia di metri di distanza dalle coste di Lampedusa, oltre 20 dispersi, 155 superstiti di cui 41 minori, quasi tutti non accompagnati.

Persero la vita per raggiungere l’Europa, e con essa la libertà dalle persecuzioni, dalle guerre e dalla miseria. L’imbarcazione, un peschereccio di circa 20 metri salpato dalla Libia due giorni prima, si rovesciò e colò a picco. I superstiti furono inseriti nel registro degli indagati e accusati di reato di clandestinità, secondo quanto previsto dalla legge Bossi-Fini. Fu condannato a 30 anni di reclusione il trafficante somalo Mouhamud Elmi Muhidin, a 18 anni Khaled Ben Salem, il capitano tunisino dell’imbarcazione; nessuna inchiesta o indagine, invece, in merito ai documentati ritardi dei soccorsi.

In seguito alla tragedia in Italia e in Europa si annunciava che non sarebbe mai più potuto accadere; Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, dichiarò: “Provo vergogna e orrore; è necessario rivedere le leggi anti-accoglienza”. Cecilia Malmström, commissario europeo per gli affari interni, sostenne la necessità di fare del naufragio un campanello d’allarme per aumentare la solidarietà europea ed evitare che un fatto simile potesse avvenire di nuovo. Da quel giorno tutto doveva cambiare.

Inizialmente qualcosa cambiò davvero, sull’onda dell’indignazione: nacque nel 18 ottobre 2013 l’Operazione Mare nostrum, la missione di salvataggio in mare dei migranti che cercavano di attraversare il Canale di Sicilia dalle coste libiche; l’Operazione fu sostituita un anno dopo da Triton di Frontex. L’operazione dell’Unione Europea avrebbe dovuto sancire la cooperazione sul piano umanitario e di controllo delle frontiere in risposta al naufragio di Lampedusa, per rafforzare i principi di equità, solidarietà e corresponsabilità nell’Unione, ma Frontex lasciava l’impegno dei paesi membri alla loro totale discrezionalità; inoltre fu un’operazione di controllo e non di salvataggio. Si preferì la tutela dei confini a quella delle persone.

La situazione non è migliorata negli anni: nel febbraio 2017 l’Italia raggiunse un accordo con la Libia, che prevedeva nuovi aiuti alle autorità libiche impegnate nelle operazioni di accoglienza e contrasto all’immigrazione clandestina, quindi alla Guardia Costiera libica, con l’obiettivo di ridurre il traffico illegale via mare e migliorare le condizioni dei “centri di accoglienza” in territorio libico. Questo ha dato il via ad una serie di violazioni del diritto internazionale -a partire dalla Convenzione di Ginevra- e dei diritti umani, come riportato dal rapporto “Accordo Italia-Libia: scacco ai diritti umani in 4 mosse”, diffuso il 1 Febbraio di quest’anno da Oxfam Italia e Borderline Sicilia.

L’anno seguente, il primo febbraio 2018, la via intrapresa viene confermata con la nascita dell’Operazione Themis, che sostituisce Triton, anch’essa nell’ambito di Frontex. La novità introdotta è che i migranti soccorsi vanno fatti sbarcare nel porto più vicino al punto in cui è effettuato il salvataggio; solo per le persone soccorse all’interno del limite diviene automatico lo sbarco in un porto italiano. Un’ulteriore conferma dell’esternalizzazione della scomoda questione dei migranti ad un paese, la Libia, nei quali ci sono documentate violazioni dei diritti umani.

La Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, che commemoriamo oggi, è stata ratificata dal Senato il 16 marzo 2016. 6 anni dopo la tragedia e 4 anni dopo l’introduzione di questa Giornata della memoria il dibattito è tornato indietro.

Se questa giornata ha lo scopo di commemorare le vittime e di riportare la discussione sul piano umano, una delle domande che ci deve portare a porci è: “Come può tutto questo succedere ancora?”. Dal giorno che fece stringere l’Unione intorno a Lampedusa e dire “mai più” sono morte altre 17.900 persone. In Libia la situazione è ancora instabile e i trattamenti inumani incessanti. Ma l’analisi sulle

politiche migratorie è totalmente assorbita dalla contrapposizione “porti chiusi” e “porti aperti”. Si trascura così il fatto che le persone in fuga non dispongono di alternative sicure e regolari per raggiungere l’Europa e che sta a noi rendere disponibili tali soluzioni, oppure, in mancanza di canali legali, saranno necessariamente costrette a continuare a ricorrere ai trafficanti rischiando la loro vita (e la nostra coesione sociale, se questo dev’essere il focus per parte dell’arena politica).

Tutto ciò che concerne soluzioni concrete, dall’aumento delle quote di reinsediamento all’accesso ai visti per ragioni umanitarie, per studio e per lavoro, passando per la facilitazione di ricongiungimenti familiari, l’impiego dello strumento del decreto flussi o del corridoio umanitario, viene relegato a “buonismo”. Così, ad esempio, venne accolta nell’autunno 2017 la campagna “Ero straniero” a sostegno della proposta di legge d’iniziativa popolare sull’immigrazione, che esponeva come possibili soluzioni la reintroduzione del sistema sponsor, l’introduzione del permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione, la regolarizzazione sulla base del radicamento secondo il modello spagnolo, l’abolizione del reato di clandestinità, l’ampliamento del sistema SPRAR e l’eliminazione dell’accoglienza straordinaria, e molto altro: una proposta che abbiamo sostenuto e portato in Consiglio comunale, che avrebbe introdotto importanti cambiamenti in un sistema normativo anacronistico, criminalizzante e colmo di lacune, che esemplifica le contraddizioni del nostro tempo.

Quelle parti politiche e sociali che vanno in profondità e propongono soluzioni concrete finalizzate alla salvaguardia della vita umana e allo stesso tempo alla tutela della legalità restano inascoltate. Nell’Unione Europea assistiamo ad una contraddizione costante per cui i paesi membri sono reticenti ad attuare politiche di regolamentazione dell’immigrazione e allo stesso tempo attraggono flussi per necessità di manodopera, lasciando fuori dai termini della legalità, del controllo e della trasparenza la dinamica migratoria e abbandonando chi si mette in viaggio al pericolo delle prigioni libiche, dei trafficanti, della tratta di esseri umani, del caporalato e dello sfruttamento della prostituzione. Rinunciano di fatto a mettere in campo politiche che consentirebbero emersione, legalità, controllo, sviluppo economico e inclusione sociale.

Il Sistema di Dublino, fermo a Dublino III (604/2013), dev’essere riformato anche per sbloccare una situazione di continue tensioni in Europa, ridefinendo i criteri per individuare lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo e rendendo più equa la gestione dell’accoglienza.

In Italia, in questi ultimi mesi, abbiamo assistito all’attuazione di politiche promosse dall’Ex Ministro degli Interni che hanno smantellato tutto ciò che dell’accoglienza era funzionale e strutturato, come il sistema SPRAR, (vedi Decreto Sicurezza) e criminalizzato coloro che provvedevano ad accertarsi che i salvataggi in mare venissero comunque portati avanti (vedi Decreto Sicurezza Bis).
Questo in un contesto in cui le ONG rimaste attive nel campo del salvataggio di migranti erano 4: la Sea Watch, ormai sequestrata, la Sea Eye, la Proactiva Open Arms e la Mediterranea saving humans.

A 6 anni dalla tragedia migliaia di persone continuano a morire per cercare una vita migliore, mentre in Italia si fanno campagne d’odio acuendo conflittualità e divisioni nel paese e nell’Unione, quando è chiaro a tutti che ad una crisi globale non si possa rispondere in modo particolaristico e chiaramente inefficace. Dei passi avanti sono stati fatti in questi ultimi giorni con l’Accordo a Malta grazie al Governo giallo-rosso: dal principio di rotazione dei porti di sbarco alla redistribuzione dei migranti su base obbligatoria con un sistema di quote in tempi rapidi; per quanto auspicabile sarebbe superare la concezione dell’accoglienza dei migranti come un’emergenza dai numeri insostenibili per cui si concede di aiutare, entrando invece nell’ottica per cui l’accoglienza è un dovere indiscutibile e coerente con i valori fondanti dell’Unione, si tratta di concreti passi avanti sul piano della solidarietà europea.

A Lampedusa, per ricordare, si è svolto un incontro con i superstiti del naufragio del 2013, a cui è seguita una marcia verso la Porta d’Europa. E mentre giovani studenti europei si confrontavano sui temi legati alle migrazioni, a Bruxelles la Commissione Libe del Parlamento UE dava audizione a Carola Rackete, la giovane capitana tedesca della Sea Watch, che ha aspramente criticato l’Unione per averla lasciata da sola alla richiesta di un porto sicuro: l’unica risposta ricevuta è stata quella di Tripoli.

Così, mentre in Italia si passa da Mare Nostrum alla demonizzazione dei salvataggi in mare, mentre in Europa si dichiara solidarietà e poi ci si punta il dito l’un l’altro, mentre si rivendicano percentuali esigue di accolti per potersi deresponsabilizzare pur coscienti di quel che avviene in Libia, le persone continuano a morire, e i passi avanti vengono fatti molto lentamente e con gravi ricadute.

Ecco perché vogliamo commemorare questa giornata ricordando quelle vittime rimaste senza volto e le loro storie di speranza. Ma soprattutto vogliamo provare a vivere questo giorno con una prospettiva umana: quello che avviene è inaccettabile, e abbiamo il dovere di guardare alle nostre responsabilità e di rilanciare una discussione approfondita sulle soluzioni e sulle formule da impiegare per fare dell’insieme dei paesi europei la Civilità che pretendiamo dall’Unione Europea.
Perché da qui passa il futuro dell’Europa, dal modo in cui saprà specchiarsi nelle acque del Mediterraneo, a poche miglia da Lampedusa, e trovare in esse la chiave di lettura della propria tragica storia degli ultimi anni.

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