Referendum 17 Aprile – Guida al voto
Referendum 17 Aprile – Guida al voto

Referendum 17 Aprile – Guida al voto

di Maria Logli, Francesco Bellandi e Stefano Nenciarini

Come Giovani Democratici di Prato abbiamo organizzato un incontro aperto per parlare del referendum del 17 Aprile. Abbiamo ritenuto necessario farlo perché crediamo che il ruolo di un Partito sia quello di coinvolgere i cittadini, fornendo loro i mezzi necessari per poter scegliere con consapevolezza, sopratutto in un periodo caratterizzato dalla sfiducia nella politica. In questo contesto, la giovanile ha il compito di inserirsi non solo nei dibattiti territoriali, ma anche in quelli di carattere nazionale e internazionale.

L’analisi si è svolta attraverso la presentazione di entrambe le posizioni: tra di noi ci sono opinioni discordanti, ma ci accomuna la volontà di promuovere la partecipazione della società civile attraverso l’espressione del voto.

Prima di esporre le diverse argomentazioni, ecco una piccola informativa sulle modalità di voto.

Si vota Domenica 17 Aprile e i seggi rimarranno aperti dalle ore 7 alle ore 23.

Questo il quesito presente sulle schede:

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?

Di seguito, presenteremo le ragioni di entrambe le parti, così come emerse durante il dibattito.

Le ragioni del NO. Qualora vincesse il Sì, il referendum bloccherebbe il rinnovo delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti entro le 12 miglia dalle coste italiane. La chiusura degli impianti avverrà nel corso dei prossimi anni (in genere, fra i 5 e i 10).

Lo stesso nome attribuito al referendum è fuorviante e viziato: non si tratta di decidere se trivellare o no, né di dare nuove concessioni (la legge in vigore vieta nuove perforazioni entro le 12 miglia).

Sono emerse molte criticità in merito alla campagna che i promotori del sì stanno portando avanti: qui di seguito proveremo a dare gli esempi più importanti.

In primis, se le piattaforme sono già presenti e in funzione, è economicamente controproducente chiuderli in corso d’opera: il costo per lo smantellamento è alto, ed espone l’ambiente a rischi certificabili.

Le piattaforme attive interessate dal referendum sono 48, a fronte di un totale di 135: già questo dà un forte indizio sul perché il referendum in questione sia privo di logica. Infatti, se l’intento fosse stato quello di intervenire su tutto il comparto estrattivo, questo si sarebbe caricato di significato, e i cittadini sarebbero stati chiamati realmente a decidere il percorso da intraprendere in campo energetico (anche se un referendum consultivo sarebbe stato la scelta migliore in ogni caso).

Non dimentichiamoci, inoltre, che la produzione delle piattaforme interessate è principalmente di gas: solo 11 estraggono petrolio. Ma, nonostante possa sembrare una quantità trascurabile, nel breve periodo saremmo costretti a sopperire a questa mancanza acquistando lo stesso quantitativo di petrolio da altri Paesi, operazione che porterebbe delle conseguenze significative:

    • Il mancato indotto relativo alle royalties (ovvero il denaro versato nelle casse dello Stato da parte di quelle compagnie in possesso delle concessioni), unito alla spesa dovuta all’acquisto del petrolio da altri Stati, impoverirà lo Stato. Se l’obiettivo dell’Italia è quello di una progressiva (e sostenibile) transizione verso le rinnovabili, impoverirsi non è certo la strada migliore per raggiungerlo, considerati i costi della suddetta transizione.

 

    • L’acquisto di petrolio da altri Paesi significa necessariamente il transito di centinaia di petroliere in più nei nostri mari, aumentando sensibilmente non solo l’inquinamento marittimo, ma anche il rischio di disastri ambientali. Infatti, gli incidenti dovuti a versamenti da parte delle navi sono largamente più probabili di quelli causati da un malfunzionamento delle piattaforme: in Italia l’estrazione è sicura e a basso rischio, inoltre niente viene scaricato a mare e i detriti di perforazione vengono raccolti e inviati a terra in centri autorizzati per lo smaltimento.

Da un punto di vista strettamente economico, l’indotto lavorativo (sia diretto, ovvero i laboratori delle piattaforme, che indiretto, ovvero coloro che lavorano con i prodotti delle piattaforme) è molto ampio e il ricollocamento di questi soggetti è complicato, almeno nel breve termine. Un caso eclatante è quello di Ravenna, dove sono occupate più di 6000 persone (non è un caso che l’Emilia Romagna non ha firmato, nonostante sia la regione con più piattaforme interessate).

Parlando poi del problema turismo, citato più volte dalle campagne per il sì, è accertato che questo non risente della presenza di piattaforme: l’Emilia Romagna possiede nove bandiere blu, una certificazione internazionale sul basso tasso di inquinamento marittimo.

L’aspetto ambientale e di inquinamento è tutto da verificare: prendendo a esempio la piattaforma Vega (nel ragusano), sotto processo da sette anni per dei presunti versamenti da parte di un pozzo petrolifero. Ebbene, nessuno è mai riuscito a dimostrare un aumento dell’inquinamento di quelle acque, nonostante i controlli regolari. Questo è un caso eclatante di come la propaganda populista, che ha condotto una campagna diffamatoria contro la succitata piattaforma, induca a distorcere la realtà dei fatti, chiedendo la chiusura di un impianto che non solo frutta 20 milioni di Royalties ogni anno, ma dà lavoro a 300 ragusani, senza contare tutti quelli della raffineria di Gela, che utilizza il petrolio estratto da Vega.

Infine, è necessario affrontare anche l’aspetto politico che ha portato a questo referendum: la raccolta firme da parte delle regioni, per come è stata portata avanti, ha dato l’impressione di essere solo una manovra studiata per ribadire il proprio peso in ottica del referendum costituzionale di ottobre, dove sarà in gioco (tra l’altro) il titolo V della costituzione, ovvero proprio quello sul rapporto Stato – Regioni.

La vittoria del sì non darà, quindi, alcun messaggio politico dettato dai valori ambientalisti sbandierati dalla propaganda, ma sarà solo un punto segnato dalle forze che si oppongono ad alcune manovre dell’attuale Governo, e che hanno strumentalizzato il sacrosanto desiderio di gran parte dei cittadini di rivedere il piano energetico nazionale. Il governo deve e vuole comunque affrontare il transito verso fonti di energia alternative, ma questo referendum, per come è stato proposto e per la specificità del suo quesito, non può essere il mezzo attraverso cui rappresentare le istanze di cambiamento volute dalla maggior parte di noi, e necessarie sia al nostro Paese che al mondo intero.

Le ragione del SI. L’estrazione dei combustibili fossili non contribuisce in maniera particolarmente rilevante all’autosufficienza energetica nazionale, poiché la ricchezza che produce va all’Italia solo per il 7-10%: una percentuale minima, considerando che quella della Norvegia, ad esempio, è dell’80%.

Lo studio condotto da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca) mostra che dal 2012 al 2014 si sono verificati superamenti dei livelli stabiliti degli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione, ed un altro studio, ancora una volta di Ispra, mostra che le attività estrattive provocano danni rilevanti sugli ecosistemi marini.

In tal caso sarebbe in pericolo la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350.000 persone, contro le 10.000 persone che svolgono attività legate all’estrazione di combustibili fossili.

Risulta ormai evidente che tramite le fossili non si possa raggiungere alcun tipo di autonomia energetica, considerando che in due anni l’apporto del petrolio e del gas è sceso dal 72,1% al 64% e, di questa percentuale, noi produciamo il 7% ed importiamo il resto; quello delle rinnovabili è invece passato dal 13.3% al 20%.

Inoltre, per quanto riguarda le piattaforme interessate dal referendum, secondo i dati del ministero dello sviluppo economico il petrolio ed il gas corrisponderebbero rispettivamente all’1% e al 3% circa del fabbisogno nazionale, quantità tali da garantire all’Italia energia per due mesi. In tutto, se si contano anche le piattaforme non interessate dal referendum, petrolio e gas contribuiscono rispettivamente per il 10,3% ed il 11,8%.

Alla conferenza sul clima di Parigi 194 paesi si sono posti vari obiettivi, tra i quali quello di contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 2 gradi con lo scopo preciso di restare entro 1,5 gradi; è dunque importante mantenere i due terzi delle riserve di combustibili fossili sotto terra e frenare l’incremento delle emissioni di gas serra fino alla possibilità di un riassorbimento naturale entro metà secolo.

Anche nel 2015, nonostante il crollo del prezzo del petrolio e il rallentamento di alcune economie emergenti, non si è fermata la crescita delle energie verdi, con una spesa complessiva di 329 miliardi di dollari (+4%): prime tra tutte la Cina, seguita da India, Sud Africa e Sud America. L’Italia ha raggiunto il 38% di energie rinnovabili. Sulla base di questi dati si potrebbe dunque ritenere che la direzione che abbiamo preso sia quella giusta per il pianeta ed in linea con gli obiettivi posti dalla COP21, e che questo processo si possa dunque gradualmente integrare con l’impiego delle fossili senza il rischio di perdita di energie per il fabbisogno nazionale, seppur minime, e posti di lavoro.

Tuttavia, in Europa si registra una controtendenza del -18%, e l’Italia ha arrestato l’incremento: nel corso del 2014 i ritmi di crescita sono purtroppo molto inferiori rispetto al passato. Per il fotovoltaico sono stati installati 1.864MW contro i 13.194 del biennio 2011-2012; nell’eolico 170MW nel 2014 contro una media di 770 negli anni passati; situazione similare per mini idroelettrico e le altre fonti. Questo perché mancano da un lato procedure chiare per l’approvazione di progetti, fatto che blocca gli impianti eolici, solari termodinamici, da biomasse e idroelettrici, dall’altro servono certezze in un settore che ha subito una serie di interventi normativi che introducono tagli agli incentivi. E’ dunque questo il motivo principale per cui il referendum è di fondamentale importanza per il significato politico che il voto, in un contesto come quello descritto e all’indomani della Conferenza delle Parti, va ad assumere.

Per concludere

E’ grave che una democrazia del XXI secolo debba oggi domandarsi quale sia la priorità tra ambiente e lavoro, quando è ormai chiaro che il presente ci chiede di investire sulle energie rinnovabili: prima adattiamo un piano di politica energetica a tale esigenza, più possibilità avremo di non rimanere estromessi dalle logiche di mercato. Il 2014/2015, infatti, è stato il primo anno in cui l’economia è cresciuta e allo stesso tempo si è verificata una riduzione di CO2, come sottolinea Galletti, ministro dell’Ambiente.

Nonostante le divergenze di merito, circoscritte allo specifico quesito, vogliamo affermare la necessità di un’informazione chiara, non soggetta a populismi e strumentalizzazioni, sia di carattere falsamente ideologico che guidate da interessi economici parziali. Abbiamo infatti constatato come, durante la propaganda condotta da entrambi gli schieramenti, non siamo mancate argomentazioni fuorvianti, basate su presupposti inesatti o non attinenti al tema trattato.

Riteniamo inoltre che, a prescindere dall’esito del referendum, sia essenziale un nuovo piano energetico nazionale, concepito sui concetti di sostenibilità, innovazione e rispetto dell’ambiente. L’Italia deve avere l’ambizione di porsi come avanguardia nel settore energetico, e guidare l’Europa attraverso questa cruciale transizione. Noi Giovani Democratici dobbiamo farci promotori di queste nuove istanze, e rappresentare un faro d’innovazione per la nostra generazione: ecco perché vogliamo ribadire l’invito a partecipare attivamente al voto del 17 Aprile.

Per saperne di più, sfoglia la Guida al voto dei GD Toscana.12321515_1717048348552671_2839799574890624561_n

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