Prato, la città del possibile
Prato, la città del possibile

Prato, la città del possibile

L’introduzione del programma di riqualificazione urbana dei Giovani Democratici di Prato, approvato il 5 ottobre 2016 dalla direzione provinciale del PD di Prato.

Quando studiamo una città, ci accorgiamo che sono due le concezioni che possono rappresentarla: possiamo usare il termine urbs, che è la città fisica, le sue strutture e i suoi edifici; e possiamo definirla civitas, ossia l’insieme della vita che la caratterizza, i suoi abitanti e le loro attività. Questi due fondamenti e la loro interazione fanno la polis, l’intera città, un po’ come il corpo e l’anima fanno un essere umano. Oggi la grande sfida del mondo contemporaneo è far convivere queste due espressioni per definire una città.

Noi crediamo fortemente che siano indispensabili politiche che modellino una città attenta alla condizione dell’uomo, che sia luogo di benessere e non di stress. Il traffico, la mancanza di verde e di spazi aperti, la privazione del movimento e l’assenza della luce sono tutti elementi che creano tensione nella vita di una persona. Nella storia dell’urbanizzazione – soprattutto nella nostra – si è costruito puntando al massimo profitto, affidandosi pienamente a standard o elementi preimpostati e stabiliti quasi a tavolino, su principi poco basati sulle scienze sociali e sulla qualità della vita in senso ampio; proprio come nella divisione dei territori coloniali che trascura totalmente la morfologia, la sociologia, l’economia e l’etnologia del territorio. E Prato ne è un esempio.

Il disegno di Prato è frutto di scelte urbanistiche che nel corso del tempo hanno parzialmente contraddetto gli strumenti regolatori attraverso il ricorso alla procedura di variante.  Oggi, abbiamo pertanto di fronte una città cresciuta in modo discontinuo e che è caratterizzata per molte parti dalla saldatura del “sistema” dei paesi e delle frazioni posti alla base della sua stessa nascita.

La storia di Prato è un esempio senz’altro calzante di come dalla città moderna sia necessario estrarre e far nascere la città del tempo presente, secondo quelle idee e quei principi che noi abbiamo e che ci sentiamo di esprimere.

La nostra città non può essere più concepita solamente come il centro di un distretto industriale e manifatturiero nel cuore dell’area metropolitana  e a cavallo tra tre province (v.  gli atti della Regione Toscana che nel distretto pratese comprendevano e comprendono anche Calenzano, Campi, Agliana e Montale), ma anche come la città del possibile, ricca di prospettive e di potenzialità, dinamica nelle relazioni delle sue diverse componenti sociali e culturali.

Non dobbiamo però commettere l’errore di guardare solo al futuro: quando parliamo di contemporaneità le parole d’ordine devono essere riconversione e reversibilità, intese come la trasformazione e il riuso degli spazi inutilizzati già esistenti. A noi piace pensare che far rinascere la città da dove è entrata in crisi non sia solo un segnale politicamente forte e progressista, ma anche una scelta politica e poetica.

La nostra città ha la stessa vocazione estetica ed emozionale che ha un’opera d’arte e le potenzialità per riportare in vita quel che è decaduto, ma con nuovi significati. Per questo sosteniamo da tempo che il senso di appartenenza alla nostra città debba passare dalla valorizzazione di ciò che prima era per giungere a quel che domani sarà: quelle aree industriali in disuso domani dovranno essere spazi di ricerca o di esposizione, parchi e luoghi della cultura. Saranno comunque fabbriche, ma non avranno più la funzione di fabbricare oggetti: saranno fabbriche di idee, di ricerca, di studio, di innovazione. Là dove si produceva materiale, oggi si devono produrre arte, idee, benessere, socialità, integrazione, multiculturalità e altro ancora.

L’esempio del Polo Campolmi (AKA Lazzerini), frutto di scelte lungimiranti, è lì – tutti i giorni – a ricordarcelo.

Dobbiamo ripensare e ricreare spazio pubblico e rapporti di convivenza attraverso lo strumento urbanistico e il ricorso alla migliore pratica in campo architettonico e paesaggistico, come nel caso del Parco Urbano nell’area Ex-MED.

Non serve solo la grande risoluzione, ci vogliono molti, moltissimi piccoli interventi chirurgici che, messi a sistema, migliorino la nostra città, uniti a grandi scommesse come il Parco Urbano, il ripensamento dell’area ex Banci, il Serraglio e la Val di Bisenzio (solo per citarne alcune).

Ma non possiamo continuare a credere che una macchina possa funzionare solo con un grande motore, senza installarle le frecce o gli specchi retrovisori. Ogni piccolo intervento deve rientrare in una visione organica più ampia che conosca il passato abbastanza da poterlo reinventare e che si apra al presente abbastanza da poterlo interpretare.

Un commento

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