Perché è importante non sprecare il cibo?
Perché è importante non sprecare il cibo?

Perché è importante non sprecare il cibo?

 

Di Immacolata Ranucci, tavolo Ambiente GD Prato

e Saul Santini, Responsabile Ambiente GD Prato

Di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo, ben un terzo viene sprecato. Si tratta di circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che ogni anno vengono lasciate marcire nei campi, si deteriorano nel trasporto, vengono sprecate lungo le filiere di trasformazione e infine vengono gettate via dai consumatori. In media, sono 65kg di cibo a testa ogni anno, di cui il 60% composto da prodotti vegetali.

In prima analisi è interessante distinguere i modi in cui può avvenire lo spreco di cibo, guardando alle diverse espressioni usate in lingua inglese: mentre food losses sono le perdite che avvengono lungo la catena di produzione e trasformazione (dalla terra fino alla distribuzione), food waste si riferisce allo spreco del cibo che è già entrato nelle nostre case (o nei ristoranti e nelle mense) e che quindi, pur essendo arrivato alla fine della catena, non viene consumato. Se le food losses sono un problema maggiore nei paesi in via di sviluppo, in cui soprattutto i sistemi di trasporto e stoccaggio delle merci non hanno ancora raggiunto un livello ottimale, il food waste è soprattutto un problema dei paesi più ricchi, dove mettere un pasto in tavola non è più la maggiore preoccupazione quotidiana e non si sente la necessità di fare economia fino all’ultima briciola. Difatti, sebbene la maggior parte degli sprechi avvenga prima che il cibo raggiunga gli scaffali dei supermercati, la percentuale di cibo sprecato una volta che ha raggiunto le nostre case è notevole: tra il 9 e il 20% per quanto riguarda frutta e verdura e tra il 14 e il 37% per i prodotti di origine animale (dati ottenuti da uno studio condotto in Europa e Nord America – FAO 2019). L’impatto che hanno le nostre scelte di consumo sulla sostenibilità non deve essere sottovalutato, e ci sono ampi margini di miglioramento.

Le questioni etiche e sociali legate al persistere di profonde disuguaglianze nel mondo (e nei mondi) passano per il cibo: viviamo il paradosso di un mondo che butta miliardi di tonnellate di cibo mentre 800 milioni di persone non riescono a nutrirsi sufficientemente e un’alimentazione sana, sufficiente e variegata ha un costo che solo poche persone al mondo possono permettersi. Inoltre, c’è il nodo dello sfruttamento delle risorse, in primo luogo idriche, impiegate in agricoltura per le coltivazioni e per il sostentamento degli animali. Quando viene gettato un alimento, vengono sprecate anche tutte quelle risorse che sono state impiegate nella sua produzione. Questo è particolarmente drammatico se consideriamo l’impatto ambientale del settore agroalimentare e la scarsità di alcune delle risorse impiegate (acqua, terra fertile etc.).

La lotta agli sprechi alimentari necessita tanto di uno sforzo globale quanto dell’impegno individuale di ogni cittadin*. L’obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) numero 12 si propone di garantire modelli di produzione e di consumo sostenibili. Tra i target individuati per raggiungere questo obiettivo, il terzo riguarda in modo specifico gli sprechi alimentari: “Entro il 2030, dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto”.

In Italia sono due le leggi che hanno contribuito a diminuire gli sprechi alimentari: la 155/2003 e la legge Gadda 166/2016, entrambe hanno portato miglioramenti per il riutilizzo di alimenti invenduti o inutilizzati ma con interventi che fanno affidamento ai servizi di volontariato e solidarietà sociale che, per quanto fondamentali in una dimensione sociale, sono anche l’emblema di quelle mancanze dello stato che devono essere tamponate dalla società civile. Bisognerebbe invece agire in modo mirato sulle logiche consumistiche che stanno alla base delle scelte della grande distribuzione, che – oltre ad avere un enorme potere di mercato rispetto ai produttori – accetta solo quei prodotti esteticamente perfetti, inducendo il consumatore a pensare che una mela ammaccata sia automaticamente da buttare. Allo stesso tempo, bisogna necessariamente coinvolgere in prima persona i consumatori, che sono in grado di trainare il cambiamento e che in ultima analisi risultano essere gli attori principali nella lotta agli sprechi. Inoltre, quando si parla di cibo non dobbiamo mai dimenticare il lavoro di chi lo produce. Dare il giusto valore ai prodotti che acquistiamo, evitando di sprecarli, può diventare un’ottima occasione per riflettere sul valore del lavoro che serve a produrre il cibo che mangiamo. Una presa di coscienza collettiva può aiutare i produttori ad ottenere un giusto prezzo per i loro prodotti. Chi produce il nostro cibo merita di essere pagato in modo equo per il lavoro che svolge.

 

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