L’utilità delle materie inutili
L’utilità delle materie inutili

L’utilità delle materie inutili

                                                                                                                                                                             di Sara Bichicchi

La parola “strada” deriva dal latino “via strata”, perché le strade dei Romani erano effettivamente costruite così, a strati. Il termine “candidato”, invece, viene dalla consuetudine, diffusa nella Roma Repubblicana, di far indossare a coloro che aspiravano a cariche politiche una toga bianchissima (candida, appunto). O ancora il nome Amanda significa “colei che deve essere amata”, mentre Sofia, dal greco, è “saggezza” e Filippo, sempre dal greco, “amante dei cavalli”. Sono tutti termini di uso quotidiano, sono i nomi che gli italiani danno ai loro figli, e hanno le loro origini nel greco e nel latino, in due lingue “morte” che per qualcuno non ha più senso studiare.

Beh, certo, si può vivere bene anche senza conoscere l’etimologia della parola “strada” e si può scegliere per un bambino il nome Filippo semplicemente perché anche Nek si chiama così, ma bisogna essere consapevoli del fatto che la lingua è parte del nostro bagaglio culturale, è identitaria. Rinunciare al greco e al latino vorrebbe dire abbandonare due pezzetti della nostra identità, perdere le fondamenta dell’italiano. In sostanza, studieremmo un bell’albero, ma ne vedremmo soltanto le fronde, non le radici.

Ma non sono solo il greco e il latino ad essere sotto accusa. Ci sono anche la letteratura, l’arte, la filosofia, tutte discipline che per alcuni maniaci dell’utile non sono abbastanza spendibili, per non dire che qualcuno le ritiene inutili. Inutili… Ma perché?

Noi andiamo a scuola per formarci una coscienza critica, non per assimilare tonnellate di eventi e di date, e la letteratura in questo aiuta. La scuola superiore, in particolare, è frequentata da studenti tra i 14 e i 19 anni, adolescenti che iniziano a interrogarsi sull’amore, sulla vita, sulla religione, sulla società e la letteratura è una riserva inesauribile di idee e valori diversi. Una semplice poesia può essere uno spunto di riflessione e che importa se è stata scritta tre, quattro o dieci secoli fa? L’uomo, con il tempo, ha forse smesso di scrivere d’amore o di cercare il senso della vita? E poi gli scrittori hanno un mondo dentro, leggerli in un momento come l’adolescenza, in cui, ammettiamolo, spesso fa tutto schifo, ha un potere che chi non ritiene la letteratura abbastanza utile ha avuto la sfortuna di non sperimentare.

Per quel che riguarda l’arte, in Italia le parole “inutile” e “arte” non dovrebbero nemmeno stare nella stessa frase. Abbiamo un patrimonio artistico e culturale che il mondo ci invidia e neppure lo conosciamo, il che, francamente, è alquanto ridicolo. Senza lo studio dell’arte nelle scuole, l’italiano medio nel giro di sette o otto anni scambierebbe la cupola del Brunelleschi per la Mole Antonelliana.

La filosofia, infine, è forse la più criticata di tutte, ma in fondo non è molto diversa dalla matematica: entrambe allenano la logica, solo che una lo fa con i numeri e l’altra con le parole. È vero, amare la filosofia non è facile, perché quando sentiamo parlare di “ermeneutica della finitudine”, di “eterogenesi positiva dei fini” o di “Wille zur Macth”, ci viene il dubbio che siano soltanto ragionamenti cavillosi, fini a se stessi, che sia, insomma, tutto fumo e niente arrosto. Però tutto ciò ci obbliga ad acquisire un linguaggio specifico e a sforzarci per orientarci tra tantissime idee differenti. Ci sono, nella filosofia, atei e cristiani, materialisti e idealisti, ottimisti e pessimisti, tanti pensatori che in fondo si interrogano soltanto sul mondo che li circonda, proprio come facciamo noi. La filosofia dà a chi la studia una mentalità elastica, abituata a ragionare contemporaneamente anche su concetti opposti e a interrogarsi costantemente, il che non può che essere un bene, soprattutto in una società come la nostra, dove spesso tutto sembra bianco o nero. La filosofia è il grigio, l’abitudine al confronto e alla riflessione, che forse non è mai stata importante come adesso. Inutile, dicevano, no?

Sara Bichicchi, Tavolo Scuola GD Prato

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