#Logos2017: Per quale ragione parlare di identità europea?
#Logos2017: Per quale ragione parlare di identità europea?

#Logos2017: Per quale ragione parlare di identità europea?

di Maria Rita Paratore

Al terzo incontro di Logos, con il professor Dimitri D’Andrea, docente di filosofia politica a Firenze, abbiamo affrontato il tema dell’identità europea. Si inizia a parlare di questo tema già dagli anni ’80 e uno dei problemi è stato sempre quello di rispondere alla domanda: “Per quale ragione parlare di identità?” Eh, qui la risposta (o le risposte) si fa (fanno) più complicate.
Il professore ci spiega che la comunità Europea è il primo e più significativo tentativo di costruire un corpo politico democratico in un contesto di eterogeneità di identità nazionali preesistenti. Il problema del come costruire e far funzionare il sistema democratico si pone in tutta la sua veracità: da una parte abbiamo un’Unione che non è stata pensata nè come uno Stato, né come una comunità internazionale né, tanto meno, come sovranazionale; dall’altra parte è proprio per questo che ci troviamo necessariamente a dover definire chi è il demos di questo cratos, cioè chi è il popolo che detiene il potere, ovvero “la possibilità di cambiare il corso degli eventi”(N.Bobbio).
Parlare di identità Europea significa stabilire quindi chi integrare e come mettersi insieme, decidere cioè le regole del gioco. Il punto è che l’UE non nasce come progetto federale, perché sarebbe stato troppo oneroso ricalcare il modello americano vista la complessità del contesto del vecchio continente dovuta, in particolare, alla presenza di stati-nazione con un bagaglio culturale millenario e diversificato alle spalle.
Allora, tra le teorie di come costruire l’integrazione Europea, c’è anche quella definita spill-over effect o effetto di tracimazione. Alla base di questa Weltanschaung sta l’idea che, alla maggiore complessità della società, sarebbero seguite soluzioni, per risolvere le quali ci saremmo naturalmente spinti verso una risoluzione comunitaria e, da qui, avremmo gettato le basi per un cambiamento delle istituzioni europee stesse. Ciò è alla base anche dell’introduzione dell’euro: con il crescere di una integrazione economica, si favorisce l’istituzione della moneta unica. All’esigenza di maggiore integrazione, contribuiscono poi il crollo del muro di Berlino del 1989 e l’entrata nell’Unione dei paesi dell’Est Europa, favorendo per essi un ritorno a un regime democratico.
In un contesto di allargamento, democratizzazione, si pone il problema di definire chi può o meno stare dentro l’Unione Europea, di definire quindi chi è questa Unione Europea e quale sia la sua identità. D’Andrea ci presenta così, due filoni principali che a ciò hanno risposto in maniera diversa. Il primo è il modo classico: la ricerca delle invarianti culturali nell’identificazione di una cultura comune, come indice di appartenenza ad uno stesso corpo politico. Il secondo, invece, è il modello del patriottismo costituzionale: Habermas sostiene che non fa parte dell’UE chi è “europeo”, ma chi ne condivide le regole di convivenza.
Se dovessimo definire e raccontare cosa è l’Europa e definirne l’identità, potremmo sicuramente dire che è quella comunità non belligerante che pone una condizionalità democratica nei processi di negoziazione e di adesione; è quella comunità che si riconosce nella tutela e promozione dei diritti civili, innalzando il livello di garanzia dei diritti umani, una comunità in primo piano per le politiche sul cambiamento climatico, e che si fa carico della responsabilità che ha nei confronti delle generazioni future.
A questo, il professore aggiunge un’ultima osservazione: ci si chiede, infatti, se si è risposto così alle sfide della democrazia o se comunque le risposte tradizionali oggi possano bastare. A questo proposito, i processi di globalizzazione sono sì inarrestabili, ma quello che più conta è che non sono gestiti e accompagnati. All’interno della globalizzazione abbiamo un Trump che, differentemente da quanto si pensi, vuole stare nella globalizzazione, ma utilizzando leve e risorse che il suo stato federale può procurarsi autonomamente, tirandosi fuori da una logica di mercato liberale e paritario, ma non necessariamente finendo nell’autarchia. Ritorna così il problema della riemersione dei particolarismi, che comportano una più marcata verticalizzazione, in contrapposizione ad un’integrazione più orizzontale nei rapporti tra gli Stati. Occorrono necessariamente delle soluzioni, da parte soprattutto della comunità Europea, che non siano buone in astratto, ma risposte adeguate al momento giusto.
Molti sono stati i temi affrontati dal pubblico: dal problema della sovranità in Europa, che pone in realtà la non-sovranità sia della comunità Europea sia degli stessi Stati, a quello del rapporto tra globalizzazione e aumento dei particolarismi, per cui abbiamo un discostamento tra economia e comunità. Si aggiunge, poi, la lontananza degli organi di rappresentatività, le istituzioni, e l’esigenza di confini per il funzionamento di una democrazia. A tutto questo si dovrebbe rispondere con un superamento del modello moderno del “millefoglie” decisionale in cui ogni strato è uguale ad un altro, ma superiore, trovando un compromesso fra universalismo (appartenenza al genere umano) e particolarismo.

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