Lettere dalla quarantena: luci e ombre sul nostro Sistema Sanitario Nazionale
Lettere dalla quarantena: luci e ombre sul nostro Sistema Sanitario Nazionale

Lettere dalla quarantena: luci e ombre sul nostro Sistema Sanitario Nazionale

Di Stefano Ciapini, coordinatore del Tavolo Attualità GD Prato

L’emergenza Coronavirus ci sta mettendo di fronte a svariati temi, alcuni legati alla nostra quotidianità, altri legati a questioni ben più grandi. Tra questi spicca il tema della sanità, in questi giorni affrontato dal punto di vista emergenziale: si loda un sistema pubblico capace di fronteggiare le avversità senza gravare sul cittadino, un sistema costituito da persone che, nelle zone più colpite, stanno tragicamente dando corpo, anima e vita per rispondere colpo su colpo al Covid-19.
Ci siamo però soffermati poco su una visione più ampia del nostro Sistema Sanitario, una bestia rara che negli ultimi decenni ha subito profonde rivoluzioni. Dico “bestia rara” perché sulla carta è difficile trovare un Sistema Sanitario pubblico di valore come quello nostrano; mi rifaccio alle rivoluzioni del sistema guardando alle tante modifiche che nel corso del tempo gli sono state applicate, modifiche che, certo, non hanno smentito la natura pubblica del SSN, ma che comunque ci devono porre di fronte a degli interrogativi.
È necessario chiedersi se la sanità, così come l’ha concepita la classe politico/amministrativa negli ultimi 20 anni, si sia davvero dimostrata adeguata alle esigenze quotidiane e all’emergenza in atto.

Dal servizio all’azienda

Se concordiamo tutti sul fatto che il fine ultimo della sanità è la cura della persona, allora perché il fine con cui viene pensato il mondo medico/ospedaliero ultimamente sembra guardare più alla sostenibilità economica che ad altro? Le riforme adottate negli ultimi decenni sono state palesemente volte ad una razionalizzazione delle spese e dei servizi. Ora, la razionalizzazione sarebbe di per sé una buona cosa: per anni noi Italiani abbiamo visto la sanità e le relative autorità competenti – così come nell’ambito di tanti altri servizi statali – agire e funzionare senza il minimo ritegno nei confronti del senso della misura. È una tipica caratteristica italiana costruire i servizi in maniera poco efficiente, con scarsi controlli, e generando una perdita di soldi infinita. Al tempo stesso però, guardando a come le cose si sono evolute, sembra essere ormai caratteristica tipica italiana anche rimodulare tali servizi in direzione eccessivamente razionale, cercando di efficientare il più possibile, portando il tutto all’estremo opposto. Si passa da un servizio che, per quanto sperpero generasse, aveva come fine ultimo la cura, ad un sistema che ha sempre più come logica dominante quella produttiva dell’azienda.
E un ospedale/azienda che si rispetti non può, ad esempio, permettersi che tu resti un giorno di troppo ad occupare un posto letto. Non può nemmeno permettersi che la struttura ospedaliera sia dotata di posti letto in abbondanza: non sarebbero sostenibili. Non può permettersi di dar lavoro a tanti infermieri quanti ne servirebbero: meglio studiare dei turni e dei carichi di lavoro che guardino al risparmio più che al benessere dell’assistito.
Capite bene come giocare sul filo del rasoio a cose normali porti, in situazioni di emergenza come quella odierna, a far sì che le strutture mediche non possano rispondere a dovere. Ci spelliamo le mani di fronte agli eroi della zona bergamasca, e facciamo benissimo, ma quegli stessi applausi non possono essere spesi per un Sistema Sanitario Nazionale che in silenzio, ormai da anni, sta escogitando modi per autodistruggersi.

Eccessiva efficienza = eccessiva spesa

Le critiche alla razionalizzazione poste poco fa sono spesso osteggiate dai novelli paladini del rigore economico. Non siamo affatto di fronte ad un eccesso d’efficienza, dicono, perché in realtà la spesa pubblica in sanità è sempre mastodontica e non accenna a placarsi. Al di là del fatto che basterebbe rispondere loro che su certe tipologie di spesa non si dovrebbe mai stringere la cinghia se non evitando alcuni sprechi, occorre cambiare radicalmente il paradigma per osservare la verità e rispondere a tono.
Non è infatti possibile affermare che vi sia una diretta proporzionalità tra quanto il sistema venga razionalizzato e quanta spesa si riesca a risparmiare. Agendo con l’esclusivo fine di rendere efficienti cure, strutture, impieghi e turni di lavoro, alla fine avrò comunque da portare a termine degli obiettivi che potrò raggiungere solo con un determinato dispendio di forze (economiche e non). Questo dispendio, che in ultima battuta arriverà con uno sforzo delle casse dello Stato, andrà a rendere vano l’impegno di chi aveva fatto di tutto per dare alla sanità un funzionamento aziendale. Perciò, anziché avere per le mani una grande macchina che dispone di tutti gli strumenti necessari, a seguito della cura dimagrante il SSN risulta essere una macchina che viaggia con una quantità limitata di carburante, con un motore che fa fatica a reggere il carico e con la necessità di fermarsi a metà strada a far benzina, ad iniettare liquidità. Una macchina pensata per l’efficienza che risulta ancor meno efficiente di prima. Eccessiva efficienza = eccessiva spesa. Tutto questo come si è tradotto avendo a che fare con l’emergenza Covid-19?

Nello specifico: l’ambiente ospedaliero

Veniamo alla struttura sanitaria che più di tutte è colpita dall’emergenza attuale, l’ospedale. Abbiamo in casa nostra un bell’esempio di come un ospedale non dovrebbe essere concepito. Quando qualche anno fa è stato progettato dalla Regione l’ospedale Santo Stefano, assieme ad altri ospedali della zona come quelli di Pistoia e di Empoli, non ci si è affatto posti l’obiettivo di costruire strutture adeguate, bensì si è calcolato il tutto adottando come parametro la dimensione territoriale della provincia. Una provincia piccola come quella pratese, ci si è detti, avrà bisogno di un ospedale di modeste dimensioni, no? Bene, peccato che la sola città di Prato, in un piccolissimo lembo di terra, veda la presenza di quasi 200.000 abitanti. Un lavoro da applausi. Ora, non si tratta di un errore riscontrabile solo a Prato, bensì di una logica che interessa tutta la Nazione: costruiamo le strutture, ma lo facciamo senza spendere uno spicciolo in più di quanto sia strettamente necessario. Questo ragionamento, di per sé malato nell’ambito della sanità, ha conseguenze ancor più disastrose in un caso come quello pratese.
All’interno degli avveniristici ospedali italiani si osservano scene che ormai sono la norma: posti letto trattati dagli operatori sanitari come se stessero concedendo una stanza d’albergo da cui presto dovrai sloggiare; contrattazione tra i vari reparti ed il pronto soccorso per chi debba accaparrarsi i client… ehm, i pazienti; pazienti posteggiati nei corridoi; infermieri talvolta frustrati da tali condizioni di lavoro, medici istruiti a liquidarti nel minor tempo possibile e così via. Ancora una volta, come può reagire un sistema simile all’emergenza del Covid-19?

Conclusioni: facciamo un passo indietro

Signori miei, se vogliamo ridere un po’ insieme, allora vi invito a constatare il fatto che, al netto di tutto quello che ho delineato, il quadro italiano rimane per la sanità uno dei migliori se non il migliore al mondo. Andiamone fieri, certo, ma rendiamoci anche conto che anziché tenere alta l’asticella la stiamo piano piano abbassando. Se la concorrenza è costituita da situazioni orribili, dove a volte se non sei ricco non puoi curarti nemmeno il raffreddore, è facile brillare. Ma dobbiamo fare di tutto per continuare a brillare di luce propria anziché per merito dei Paesi che vivono a luce spenta. L’emergenza che stiamo vivendo ci pone di fronte ad un grande interrogativo a cui tutti noi, ed in particolar modo il mondo della Sinistra, deve rispondere con una battaglia per una più forte presenza dello Stato, guardando in un certo senso a come funzionavamo venticinque anni fa. Non basterà buttarci due miliardi di euro extra in legge di bilancio, così, a pioggia: occorre ripensare il sistema che necessariamente si allaccia anche a quello educativo-universitario. Facciamo, insomma, un passo indietro, e ne compiremo 100 in avanti.

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