Le barriere d’accesso al lavoro e la colpevolizzazione di chi, legittimamente, sceglie.
Le barriere d’accesso al lavoro e la colpevolizzazione di chi, legittimamente, sceglie.

Le barriere d’accesso al lavoro e la colpevolizzazione di chi, legittimamente, sceglie.

di Stefano Ciapini, responsabile attualità e comunicazione GD Prato

Oggi, 15 ottobre, scatta l’obbligo di presentare il Green Pass per accedere al posto di lavoro e, come spesso accade, l’opinione pubblica e i giornali si sono scatenati nell’esprimere la propria netta posizione.
Siamo nuovamente dinanzi a certi politici e giornalisti che colgono l’occasione per dipingere una categoria di persone come meritevoli di critica e colpevolizzazione, capro espiatorio di una serie di leggi che – probabilmente – non hanno centrato appieno la gestione della situazione attuale.
Parliamo in questo caso di chi ha deciso legittimamente di non vaccinarsi (o che ancora non ha potuto farlo) e che viene addirittura offeso dinanzi alla richiesta che sia lo Stato a pagare i tamponi necessari per l’ottenimento del Green Pass e, dunque, per poter anche accedere al posto di lavoro. 

Parto da un presupposto personale, perché non si incappi in commenti tipo “vabbé, questo è un no-vax”: sono totalmente a favore dei vaccini, non la ritengo una materia su cui poter avere opinioni al di là delle evidenze scientifiche, e non ritengo lo strumento del Green Pass fuori luogo in una situazione come quella attuale, ma uno strumento potenzialmente intelligente.

Ciò che è inappuntabile è che, al di là di queste mie considerazioni rispettabilissime, lo Stato considera come parimenti meritevoli di esistere le posizioni di chi decida di vaccinarsi e di chi decida di non farlo (e non è detto che dietro questa scelta ci sia per forza della becera avversità alla scienza, ma anche legittima e semplice titubanza).

In Italia, infatti, non è stato istituito alcun obbligo vaccinale, e per quanto la chiara intenzione sia incentivare l’uso del vaccino, si è deciso di rendere ammissibili molteplici strumenti atti a verificare che il virus non circoli, tutti facenti capo ad una certificazione che attesti che l’individuo sia sano. Strumenti tutti ugualmente legittimi, come approfondiremo. 
Il Green Pass nasce proprio su queste basi, si tratta una carta che attesta nei singoli soggetti l’assenza d’infezione da covid-19.

La legge è molto chiara in merito alle strade da poter percorrere per valutare la veridicità di questo requisito: la vaccinazione, il tampone, l’avvenuta guarigione.
La legge, dunque, pareggia legalmente il valore di vaccino e tampone, con la sola differenza che il primo fornisce un certificato verde duraturo nel tempo, il secondo ne fornisce uno valido qualche giorno. Ma a livello legale, il possesso di uno qualsiasi di questi tipi di green pass, se in corso di validità, è esattamente indifferente. 

È lo Stato perciò che dà la stessa dignità di esistere (e di partecipare alla vita sociale, scolastica e lavorativa) a chi si sia vaccinato e a chi non lo sia, e questo non può che essere considerato un fatto.

Con l’estensione dell’obbligo di Green Pass al luogo di lavoro, molto semplicemente, il Governo ha effettuato una mossa coraggiosa e rischiosa, perché è andato a toccare la sfera del diritto al lavoro, un diritto che sembra quasi essere passato in secondo piano nella narrazione pubblica degli ultimi giorni.
Comunque lo Stato, per mezzo del Governo, ha posto le stesse 3 strade percorribili per l’accesso al lavoro: il vaccino, il tampone e l’avvenuta guarigione.
Due di queste sono strade senza sbarramento all’entrata: la guarigione non implica in sé alcuna spesa per il lavoratore, e il vaccino è garantito dallo Stato, i cittadini e le cittadine non devono sborsare un centesimo.
La terza strada percorribile, invece, quella del tampone, rimane a pagamento, da qui la richiesta di qualcuno di ottenere tamponi gratuiti.

La retorica in voga vuole che i vaccinati non gradiscano che i soldi pubblici siano spesi a beneficio di chi non abbia voluto vaccinarsi, pertanto i tamponi devono restare a pagamento, ma questa retorica evita di considerare il fatto che è lo Stato stesso a legittimare pienamente – attraverso la legge – la scelta di non vaccinarsi.

Inoltre, un’altra retorica in voga vuole che tale spesa non sarebbe giustificabile dal punto di vista sanitario e scientifico, ma anche in questo caso ciò cozza con un fatto di estrema importanza, ovvero ciò che dice la legge in merito alla legittimità di determinati strumenti.

Questa tendenza a colpevolizzare e punire una precisa fetta della società, alimenta una sensazione di malcontento che si va a sommare al chiaro sentore di una presa in giro ad opera del potere pubblico: questi concede strumenti pienamente legittimi per ottenere il Green Pass, ma al tempo stesso penalizza un nutrito numero di persone che, pur avendo il pieno diritto di partecipare alla vita pubblica, subisce il mantenimento di alcune barriere all’entrata, in questo caso il costo del tampone. 

Guardando strettamente alla questione lavorativa, occorre notare come il Green Pass già di per sé limiti le possibilità di accesso al posto di lavoro delle persone. 

Vuoi lavorare? Bene, allora devi possedere la certificazione verde: questo è già davvero molto forte.
Se come Stato assumo questa decisione, e fornisco tre strade legalmente percorribili appieno per ottenere la certificazione – e dunque poter lavorare – devo assicurarmi che tutte e tre le strade siano salvaguardate e tutelate. 

È compito dello Stato, se si decide di porre delle condizioni all’accesso al lavoro, che tali condizioni non portino con sé limitazioni e ostacoli penalizzanti, e che l’accesso al lavoro rimanga pienamente salvaguardato secondo quanto stabilito dalla Costituzione. 

È proprio per questo – e per tutte le questioni precedenti relative alla legittimità legale del tampone – che è inammissibile che lo Stato mantenga in essere la necessità di pagare di tasca propria il tampone. È inammissibile.

L’articolo 3 comma 2 della Costituzione recita questo:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»

È chiaro che si giochi sul filo del rasoio: siamo veramente in una zona “grigissima” in quanto ad ammissibilità costituzionale della misura governativa, se non provvista di bilanciamento e supporto economico a chi scelga la strada del tampone. 

Sarebbe assolutamente più legittima la mossa di introdurre l’obbligo vaccinale, che il nostro Governo ha scelto di non intraprendere con l’intento di mantenere una situazione di libertà di scelta e anche di non inimicarsi nessuno, piuttosto che trasformare la legislazione del Green Pass, nel corso dei vari decreti, in una vera e propria logica del ricatto a scapito di certi lavoratori e lavoratrici che, finora, hanno solo fatto ciò che la legge permette.

Sarebbe altresì ben più legittima e sensata la mossa di mantenere la normazione attuale, accompagnandola però ad un periodo-finestra entro il quale rendere gratuiti i tamponi. Nel momento in cui ho la piena certezza che sia stata data la possibilità a tuttə di vaccinarsi, a quel punto risulta maggiormente tollerabile la reintroduzione del tampone a pagamento.

E qui si introduce un altro elemento fondamentale della faccenda: non tutte le persone che ancora non si sono vaccinate sono ferventi no vax, poiché non in tutte le Regioni la campagna vaccinale è allo stesso punto, ed anche perché ci sono fette di popolazione con problemi riscontrati e verificabili che impediscono l’accesso alla vaccinazione e dunque l’ottenimento del Green Pass.

In particolare, è solo dopo vari mesi dall’inizio della campagna vaccinale che le Regioni italiane hanno cominciato a prevedere modalità di accesso al vaccino per le persone senza i documenti necessari per la vaccinazione. I vari portali di prenotazione regionali, infatti, hanno permesso per diversi mesi di prenotare il vaccino solamente se in possesso di tessera sanitaria e codice fiscale. 

Coloro che si trovavano in uno stato di immigrazione irregolare o in attesa di regolarizzazione, oltre che le persone senza fissa dimora, sono state escluse per mesi dall’accesso al vaccino per vincoli burocratici, e ciò non è stato risolto dappertutto. 

Alcune delle categorie più fragili della popolazione sono quindi state esposte al rischio del virus senza protezione del vaccino e sono state costrette a monitorare il loro stato di salute tramite tamponi a pagamento, e questo talvolta continua ad accadere.
Inoltre, ci sono persone esenti dalla vaccinazione che ancora sono in attesa di QR code.

Questo per dire che la realtà delle cose è ben più complessa, e la scelta di mantenere i tamponi a pagamento, seppur per un certo periodo a prezzo calmierato, c’è da riconoscerlo, è comunque molto molto molto discutibile.
E mettere alla gogna chi chiede protezione sociale sulla base dell’applicazione di un comportamento legittimo è del tutto fuori luogo.

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