Guerra in Ucraina: I costi e le prospettive di un conflitto in Europa
Guerra in Ucraina: I costi e le prospettive di un conflitto in Europa

Guerra in Ucraina: I costi e le prospettive di un conflitto in Europa

di Fausto Giglioli, coordinatore tavolo Europa e Politica Estera GD Prato

Parte prima: Guerra e pace

1. Il punto sul conflitto

Quasi due mesi sono passati dall’inizio della guerra in Ucraina, mesi di aspri scontri e grandi tensioni internazionali. Tutti gli attori politici globali sanno consapevolmente di essere sull’orlo del disastro, il rischio di escalation militare è probabile. Dall’inizio del conflitto si sono aperti due fronti, uno nella parte nord dell’Ucraina, indirizzato verso Kiev e aree limitrofe, l’altro nella parte orientale, concentrato sul Donbass e quel corridoio che collega quella regione e la Crimea. In questi giorni c’è stato un sostanziale ritiro delle forze russe dall’area di Kiev (usata probabilmente come diversivo strategico) ed un ammasso invece nella parte orientale, preambolo di una nuova operazione su larga scala. Attualmente fra i politologi c’è una certa divisione in merito a quest’ultima scelta strategica: chi pensa che le forze ucraine abbiano avuto successo nel respingere i russi dall’area di Kiev e chi invece sostiene che tutto questo tempo fosse in realtà un diversivo strategico. Personalmente ritengo plausibile che durante la guerra, durata più di quanto preventivato, Putin abbia deciso di cambiare l’obbiettivo strategico creando una cintura che collega la penisola della Crimea al Donbass, in grado di garantire una completa supremazia sul Mar d’Azov e possibilmente escludere del tutto l’Ucraina dal Mar Nero (questo sarebbe pure conforme ai vecchi progetti della “Nuova Russia”.

A febbraio, prima dell’inizio del conflitto, avevo scritto un articolo sulle altissime tensioni fra Russia e Ucraina e l’eventualità di una guerra. Mi ero espresso scettico su una eventuale guerra in larga scala per i seguenti motivi: il commercio di gas con l’Europa, gli stermini di massa necessari a prendere Kiev e soprattutto come avrebbe impattato la comunità europea (invece di disgregarla si sarebbe compattata di fronte al nemico comune).

L’invasione è avvenuta lo stesso ma molti dei miei spunti sono rimasti stranamente attuali.

2.Il costo energetico

In primis, nonostante il conflitto, la fornitura di Gas all’Europa non è certamente diminuita, rimanendo una fonte costante di finanziamenti alla Federazione Russa (circa un miliardo di euro al giorno). Difatti fra le massicce sanzioni è sempre risultato assente qualsivoglia misura che toccasse il settore energetico (principale fonte di guadagno russa) in quanto avrebbe danneggiato in egual modo sia produttori che compratori. Soltanto adesso si sta incominciando a parlare di embargo totale sulle importazioni di gas naturale, per quanto comporteranno un prezzo altissimo che verrà scaricato principalmente su chi ha meno (almeno in Italia). L’energia ritorna come grossa arma di ricatto politico: è plausibile infatti che possa essere tagliata la fornitura di gas alla Finlandia dopo la sua domanda di ingresso nella NATO. Queste mosse tuttavia ci costringono ad andare a contrattare con altri regimi autoritari, come l’Egitto, per le nostre forniture energetiche e a rinunciare alla assai debole transizione ecologica pianificata. Si parla dunque di riapertura di centrali a carbone, nucleari e di incrementata estrazione nazionale: è chiaro che non ci sarà alcun tipo di contenimento dei 1,5 gradi degli accordi di Parigi. In tutto questo, per quanto il presidente Zelenskyj chieda sempre con più insistenza all’Europa di tagliare totalmente le forniture di gas subito, continua a mantenere aperti i gasdotti e beneficiare dei circa 2 miliardi annuali che versa la Gazprom all’Ucraina.

3. Configurazione del conflitto

Per quanto riguarda invece il tributo di sangue necessario per far capitolare l’Ucraina intera si è rivelato piuttosto corretto: difatti le forze russe non sono riuscite a prendere Kiev tramite operazioni terrestri. Come scrissi già in passato, per piegare una città da milioni di abitanti, servono bombardamenti a tappeto o misure drastiche. Altrimenti il conflitto diventa una battaglia casa per casa, un pantano incredibile a livello logistico. Di conseguenza, almeno per il momento, sembra che la presa di Kiev sia stata rimandata, assicurando invece un maggior afflusso di truppe sul fronte orientale. Non entrerò troppo nel merito di quanto sia stata una scelta ben calcolata visto che probabilmente i russi si aspettavano una ritirata drastica come con l’annessione della Crimea nel 2014.

I rapporti con l’Europa

Infine bisogna analizzare le conseguenze geopolitiche di questa invasione: come ha reagito l’Europa davanti a quest’invasione?

Generalmente la strategia di Putin (se non degli Stati Uniti stessi) nell’ultima decade girava intorno alla destabilizzazione delle alleanze e dei legami europei. Questo si traduceva nei finanziamenti ai circuiti della destra estrema sovranista e anti-europeista: il network di Bannon. Questo è riuscito nel far crescere partiti con posizioni di estrema destra fino a quote importanti tra il 20-30%: Afd in Germania, Lega e FdI in Italia, Vox in Spagna e Rassemblement National di Le Pen in Francia. Questa intricata quanto paradossale rete di partiti sovranisti, assurda perché per la loro stessa propaganda non dovrebbero collaborare con stranieri, è riuscita efficientemente a far da ponte per fake news e iniettare di propaganda razzista-omofoba una vasta fascia di popolazione. La portata di ciò si è palesata durante la pandemia da Covid-19, mostrando ampiamente come questi partiti siano riusciti ad alimentare i no vax e creare ampi movimenti di disordine interno. Questo caos, frammentazione, rientra proprio negli obbiettivi geo-strategici di Putin: Divide et impera

Risulta quindi quantomeno bizzarra la scelta di invadere l’Ucraina: un’occasione perfetta per rafforzare la coesione europea davanti al nemico comune. O almeno questo è quanto si è pensato finora: le istituzioni europee e i vari governi hanno continuato a fare dichiarazioni di grande unità e fronte compatto, quando così non è. Si possono individuare principalmente due schieramenti: il primo capitanato da USA e UK, determinati ad una escalation del conflitto militare che si protragga nel tempo, e gli indecisi per i più disparati motivi, da chi è vincolato economicamente tramite forniture di gas a chi è più cauto nei confronti del conflitto. Pertanto c’è un’unità apparente contro una divisione interna, frutto delle solite dinamiche che spaccano il continente.

Le prospettive del conflitto

Tornando invece sul piano della guerra attuale possiamo dire che si prepara un conflitto di lunga durata sul fronte orientale: il Donbass è una pianura con molte fortificazioni frutto del conflitto che dura da 8 anni a questa parte, pertanto non ci sarà una risoluzione rapida militare come si aspettano molti ingenui opinionisti. Come è emerso dalle dichiarazioni dei più alti esponenti politici inglesi e statunitensi infatti nemmeno loro credono in una rapida vittoria, anzi si aspettano un conflitto lungo in grado di indebolire la Russia come in Afghanistan negli anni 80. Ma se da una parte sembra stabilizzarsi la linea di voler trasformare l’Ucraina in un pantano, dall’altra si osserva una escalation sia verbale che sostanziale: tra Putin che minaccia con ordigni nucleari e l’invio di armi sempre più potenti da parte statunitense non siamo mai stati così vicini ad una catastrofe nucleare dalla fine della guerra fredda in poi.

Zelenskij invece è fin dall’inizio della guerra che chiede una no-fly zone della NATO (risulterebbe in uno scontro diretto), mentre all’Occidente continua a ripetere che la terza guerra mondiale sia già scoppiata.

Insomma: si sono ormai delineate le premesse di una guerra totale, distruzione completa del nemico o sconfitta. In tutto questo la soluzione diplomatica è stata ampiamente abbandonata, non compare più nemmeno la parola “pace” nel dibattito ammissibile pubblico. Nei rari casi in cui appare viene prontamente tradotta in “sconfitta della Russia, solo allora si potrà parlare di pace”, come quando nei talkshow vengono presentati i sondaggi che mostrano la maggior parte della popolazione italiana contraria ad un’escalation bellica e favorevole alla mediazione.

La reazione della politica italiana

L’agenda programmatica dei produttori di armi è stata fin dal principio spinta dai giornali del gruppo Gedi (guarda caso proprietà di Agnelli come Stellantis ed Iveco) e dal Partito Democratico (presente in vari consigli d’amministrazione del complesso militare-industriale), fino a diventare l’unica opinione ammessa. I giornali liberal prendono conseguentemente di mira chiunque esprima un’idea diversa, pure se autorevole e ragionata, accusandoli di essere filo-putiniani. Il ruolo del partito per i primi due mesi si è accentrato nel difendere strenuamente ogni pezzo di propaganda ucraina e nel fare abbondante revisionismo storico sui precedenti 8 anni di guerra e le responsabilità della NATO (d’altronde è nota l’obbedienza di Letta nel seguire i diktak USA dai cablo di wikileaks). Il pluralismo è stato messo sotto attacco, accusando giornalisti e più di fare gli interessi di Mosca. Ha contribuito per la maggior parte a lanciare messaggi di profonda (e molto probabilmente consapevole) ignoranza verso le vere radici del conflitto. Il problema di questa sistematica operazione di revisionismo (avvenuta anche ai vertici europei) risiede nel gettare le basi per un ripetersi di situazioni simili, facendo avanzare la storia del west saviour quando le responsabilità sono enormi. Lavarsi la coscienza è estremamente facile nel breve periodo ma estremamente lesivo verso la libera informazione, la cultura politica e la memoria storica del paese. Attualmente vi è stato un dietrofront totale da parte del segretario su queste tematiche (probabilmente visti i sondaggi), stravolgendo completamente le sue “ferree” posizioni sulla guerra, invitando alla moderazione e il dialogo. Questa tendenza è stata generale nell’establishment europeo continentale una volta capita la durata e portata del conflitto. Ritornando nel piano interno del PD è chiaro che il lavoro da fare è tanto e risiede nella cultura politica assente. Difatti con una preparazione assente in politica estera, la base è più propensa a farsi trascinare da una dirigenza informata sì, ma al soldo di interessi contrari alla sinistra. Va evidenziato anche che in quasi tre mesi non c’è stata la benché minima discussione interna su questo argomento. Se questo lavoro non verrà fatto succederanno nuovamente le stesse identiche situazioni, trovando ogni volta una impreparazione generale. Passando sul piano generale del dibattito politico italiano la storia è piuttosto ironica: gli stessi politici, gli stessi giornali che tessevano le lodi della Russia prima del conflitto (con Putin dittatore non certo da ieri) adesso accusano chi aveva sempre condannato la dittatura russa. Come in ogni guerra i primi bersagli diventano i pacifisti, colpevoli di non voler alimentare il massacro foraggiato dal complesso militare-industriale. Successe nella prima guerra mondiale, in Vietnam e succederà ancora.

Il prezzo della guerra

Un elemento che sfugge però allo schieramento bellicista del paese (o viene deliberatamente evitato) è il prezzo della guerra. Le guerre finiscono sempre con una mediazione diplomatica, un accordo, o non cessano affatto. I conflitti che non l’hanno avuta abbiamo visto come si sono conclusi e che prezzo è stato pagato: un ecatombe per la prima guerra mondiale, genocidi ed un Europa rasa al suolo per la seconda. Nel caso si continuasse ad alimentare la via militare senza portare avanti un dialogo diplomatico avremmo due futuri possibili: la trasformazione dell’Ucraina in un Afghanistan, ad un altissimo costo di sangue e con una totale catastrofe umanitaria, oppure lo scoppio di un conflitto diretto fra Russia e NATO, in sintesi la terza guerra mondiale e l’olocausto nucleare. Sono entrambe alternative che possiamo ancora fermare, ma bisogna almeno tentare: la mediazione diplomatica degli USA fin da prima del conflitto è stata assente o del tutto restia a qualsiasi compromesso, mentre la diplomazia europea non è riuscita a proporre valide alternative prima della guerra e si è completamente ritirata allo scoppio. Se vogliamo davvero la pace però bisogna essere realisti ed uscire dalla retorica dei buoni contro i cattivi che tanto piace alla dottrina idealista liberale: servirà un compromesso alla fine, perché la pace, a differenza della guerra, non ha prezzo.

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