Crisi genera crisi: dalla crisi ucraina alla crisi energetica
Crisi genera crisi: dalla crisi ucraina alla crisi energetica

Crisi genera crisi: dalla crisi ucraina alla crisi energetica

La crisi geopolitica di questi mesi scaturita dalla guerra ucraina ci obbliga a porre nuovamente l’attenzione sulla questione energetica.
Al momento ridurre la dipendenza dal gas russo è diventata la priorità, nonostante la fornitura non sia ancora diminuita,
rimanendo una fonte costante di finanziamenti alla Federazione Russa (circa un miliardo di euro al giorno). Difatti nel corso degli anni fra le massicce sanzioni è sempre risultato assente qualsivoglia misura che toccasse il settore energetico (principale fonte di guadagno russa) in quanto avrebbe danneggiato in egual modo sia produttori che compratori. Soltanto adesso si sta incominciando a parlare di embargo totale sulle importazioni di gas naturale, pur comportando un prezzo altissimo che verrebbe scaricato principalmente sui meno abbienti, almeno in Italia.

L’energia ritorna come grossa arma di ricatto politico: dal 21 maggio è stata tagliata la fornitura di gas alla Finlandia dopo la sua domanda di ingresso nella NATO. In tutto questo, per quanto il presidente Zelenskyj chieda sempre con più insistenza all’Europa di tagliare totalmente le forniture di gas subito, l’Ucraina continua a mantenere aperti i gasdotti e beneficiare dei circa 2 miliardi annuali versati dalla Gazprom.

Oltre a questo, è necessario fare scelte senza le quali non potremmo rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione imposti dall’Europa (ma soprattutto dal climate change), per evitare  future conseguenze ambientali, nonché socio-economiche, irreversibili.

 

Una transizione energ(et)ica

Per entrambe le questioni non si può che seguire una sola direzione: lasciare sotto terra i combustibili fossili. Infatti, secondo un articolo pubblicato su Nature, per evitare che la temperatura media globale superi 1.5°C, è necessario lasciare inutilizzate il 90% delle riserve di carbone e il 60% sia di quelle di gas che di quelle di petrolio.
Le poche risorse rimanenti, che possiamo permetterci di utilizzare, devono quindi essere impiegate necessariamente nel percorso di transizione energetica. Per questo motivo riattivare le centrali a carbone, o aumentare  l’estrazione del “gas italiano”, sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale per un solo anno, diventano opzioni impensabili. Guardando agli ultimi decenni le rinnovabili sembrano essere davvero l’unica soluzione contemplabile. Rispetto agli anni ’90, in cui la produzione nazionale di gas naturale aveva raggiunto i suoi massimi storici, la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero è rimasta pressoché invariata. Inoltre sono da considerare gli investimenti economici da affrontare e il loro mancato ritorno a lungo termine, soprattutto nell’ottica di una transizione energetica inevitabile che deve concludersi nel giro di pochi anni. Tanto vale cominciare fin da subito.

 

Verso una (in)dipendenza energetica

Anche la stipula di contratti di fornitura di fonti fossili con altri stati non rientra fra le soluzioni considerabili, poiché non cambierebbe la nostra sorte, né da un punto di vista di self-reliance, né sul piano umanitario, se questi sono paesi con i quali abbiamo rapporti pacifici di mera convenienza, chiudendo un occhio di fronte ai loro continui inaccettabili crimini umanitari. Infatti, il paese candidato a sostituire la Russia sarebbe l’Egitto, che ormai più volte ha infranto i diritti civili dei nostri connazionali.

Se da una parte ci svincolassimo da rapporti energetici fossili univoci, rischieremmo di crearne altri basati sulle risorse per lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili. Per esempio la produzione dei pannelli fotovoltaici, come molte miniere di silicio, appartengono alla Cina. Tuttavia la forma di dipendenza che implica un impianto fotovoltaico verso questo paese è molto meno stretta di quella che abbiamo con la Russia per il gas naturale oggi: una volta acquistato e installato, un pannello continua a produrre energia per più di vent’anni, a differenza del gas che è una risorsa che deve essere costantemente fornita; inoltre l’Europa sta investendo sempre di più nello sviluppo di tecnologie e produzione proprie di pannelli fotovoltaici, per svincolarsi il prima possibile. Inoltre l’Europa è leader nella produzione di pale eoliche, perciò si crea un’alternativa sia di produzione energetica che di scambio di mercato.

Un altro problema è quello dell’estrazione delle terre rare, elementi, solitamente utili in piccole quantità, utilizzate per migliorare il rendimento dei generatori elettrici. L’estrazione di questi materiali spesso avviene in paesi in cui i diritti e le condizioni dei lavoratori delle miniere sono tutt’altro che dignitose. Fortunatamente la ricerca sta procedendo a passi svelti verso lo sviluppo di tecnologie che utilizzino una quantità sempre minore di queste componenti o ne prevedano il riciclo.

In definitiva, le politiche che hanno determinato un reale aumento dell’indipendenza energetica dell’Italia sono stati i massicci investimenti che, tra il 2005 e il 2014, sono stati fatti nelle energie rinnovabili: per quanto riguarda la produzione di energia elettrica consumata, il contributo delle rinnovabili è passato dal 16% al 33% in dieci anni, per poi rimanere sostanzialmente stabile negli anni successivi al 2015. Parallelamente i prezzi delle rinnovabili sono scesi sensibilmente (un pannello solare da 1W nel 2005 costava circa €5, adesso ne costa circa €0,20). paradossalmente  l’Italia ha contribuito all’abbattimento dei costi della produzione di energie rinnovabili, per poi smettere di investire nelle rinnovabili quando si è raggiunta una netta  convenienza economica  rispetto alle fonti fossili.

 

Prendere le misure

Secondo il piano attuativo di IEA (International Energy Agency) per il raggiungimento del Net Zero2 (proposto o imposto dalla EU?) di emissioni sarà necessario che entro il 2050 circa il 70% dell’energia sia prodotta da fonti rinnovabili: facciamo un errore, però, se pensiamo di parlare di energia occupandosi solo della sua produzione. E’ infatti fondamentale interrogarsi sull’utilizzo di questa. L’unico mezzo che abbiamo per raggiungere gli obiettivi necessari al contrasto della crisi climatica è ridurre i consumi: non esiste nessuna tecnologia che permetta di far crescere all’infinito i consumi riducendo le risorse utilizzate. Quindi il primo passo deve essere quello di eliminare gli sprechi, implementando tecnologie più efficienti per fare fronte ai reali bisogni e modificando radicalmente il sistema dove questo prevede consumi sfrenati e utilizzi privi di senso delle (poche) risorse a nostra disposizione.

Alcune delle strategie attuabili fin da subito sono: l’elettrificazione sia della mobilità che dei dispositivi di riscaldamento delle nostre abitazioni passando  alle auto  elettriche e alle pompe di calore; l’efficientamento energetico degli edifici e il cambiamento del sistema dei trasporti per favorire l’uso dei mezzi pubblici e della mobilità dolce.

Secondo ECCO Climate3, think tank italiano che si occupa di clima, per raggiungere un maggiore efficientamento è di primaria importanza estendere e modificare gli incentivi statali (grazie ai quali lo stato rimborsa fino al 110% della spesa di attuazione delle misure sopra citate), semplificare la procedure, ed evitare di finanziare misure che non siano realmente sostenibili (come il bonus facciata, puramente estetico o  il persistente acquisto di caldaie a gas); inoltre è necessario rivedere le tariffe di gas e corrente elettrica in questo momento disegnate per favorire l’uso del gas, nonostante la minore efficienza energetica.  

 

In-azione

Ovviamente non esiste il silver bullet, la soluzione unica e perfetta a tutti i problemi, e anche le rinnovabili hanno delle criticità. Però  i comportamenti individuali e le tecnologie green non sono così efficaci se prese singolarmente: l’effettiva riduzione delle emissioni si raggiunge unendo questi due aspetti, ovvero attraverso un coinvolgimento attivo della popolazione nell’uso e nell’implementazione di queste tecnologie.  La politica deve accompagnare la transizione ecologica, dichiarando innanzitutto che il cambiamento climatico è un’emergenza, poi illustrando e fornendo alle persone le misure necessarie da adottare  per contrastarlo attraverso educazione e diffusione. Altrimenti si rischiano inutili attriti come il  “NIMBY” (“not in my backyard”),  che spesso viene affrontato con una politica dall’alto che impone le soluzioni senza coinvolgere la cittadinanza, spesso non sufficientemente informata tecnicamente per poter avere una precisa opinione in materia.

È necessario spiegare che la transizione energetica non significa rinunciare al proprio benessere. Risulterebbe, piuttosto, una risorsa per la creazione di posti di lavoro di qualità, per una rivalutazione della gerarchia dei nostri bisogni – tra primari e secondari. Inoltre, un’adeguata transizione energetica può liberarci dallo stress del traffico in auto, rendendo il nostro stile di vita e la nostra società più  sostenibile e più giusta nei confronti di tuttə, anche per le nuove generazioni.

Infatti, auspichiamo che in futuro la produzione energetica possa essere diffusa, non concentrata in pochi grandi impianti, in un mercato di scambio veramente libero in cui la distribuzione avverrà attraverso un’infrastruttura comune. Non ci sarebbe più la distinzione dei ruoli tra producer e consumer, ma si verificherebbe la presenza di tantə piccolə prosumers. In altre parole, la cittadinanza sarebbe attiva e libera di scegliere come produrre e consumare la propria energia all’interno di comunità energetiche autosufficienti e non più dipendenti da pochi grandi produttori che decidono per noi.

Fonti utili:
1 Most fossil-fuel reserves must remain untapped to hit 1.5 °C warming goal 

2 Net Zero by 2050 – Analysis – IEA

3 A TUTTO GAS: LA RISPOSTA ITALIANA ALLA CRISI MANCA DI EFFICIENZA – ANALISI APRILE 2022

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