Femminismo: oltre i pregiudizi, un punto di vista interno
Femminismo: oltre i pregiudizi, un punto di vista interno

Femminismo: oltre i pregiudizi, un punto di vista interno

Fin da quando sono nata, appena 20 anni fa, il mio viso mostra abbastanza spontaneamente il mio
essere bambina, ragazza, donna. E ritengo che questo sia semplicemente un dato di fatto: non una
fortuna, non una sfortuna.

Se non fosse per il fatto che fin dalla mia nascita vivo in una società che

ancora porta i segni di una lunga tradizione di patriarcato e maschilismo, l’avere una vagina e due
tette non avrebbe dovuto aggiungere molto significato al fatto che sono una persona. Purtroppo non
è stato così e mi sono ritrovata, come molte altre, in situazioni che credo la maggioranza dei miei
coetanei uomini non abbiano mai sperimentato, almeno non dal mio, nostro, punto di vista. Credo
che sia stato il vivere queste situazioni a rendermi una femminista, consapevole del fatto che parlare
di femminismo oggi a molti suona male, fuori luogo, fuori tempo. E proprio a questo proposito le
parole di Emma Watson nel suo discorso alle Nazioni Unite per lanciare la campagna HeForShe
sono le più adeguate che io abbia letto: “I decided I was a feminist and this seemed uncomplicated
to me. But my recent research has shown me that feminism has become an unpopular word.
Apparently I am among the ranks of women whose expressions are seen as too strong, too
aggressive, isolating, anti-men and, unattractive. Why is the word such an uncomfortable one?” La
mia risposta, forse banale, è che l’immaginario comune ha sempre avuto una visione stereotipata
della donna tanto quanto la società di oggi ha una visione stereotipata della “femminista”. Ma le
femministe sono persone, e le persone non vengono prodotte in fabbrica.
Personalmente non amo il fatto di avere un utero e non amo avere le mestruazioni, ma questo non
mi rende meno femminista. Non voglio figli, ma questo non mi rende più femminista.
In quanto persona donna e femminista, vorrei che quel 35% – donne che subiscono una qualche
forma di violenza nella loro vita – non esistesse, vorrei che fosse tutelato con forme di prevenzione
e non pianto in tutto il mondo con lacrime da coccodrillo.
Vorrei che il tasso di attività femminile nel nostro paese fosse più alto del 50%, perché l’Italia è una
Repubblica fondata sul lavoro ed essere autonomi economicamente è il primo passo per poter essere
indipendenti. Ma sono consapevole del fatto che debba essere in primo luogo quel 50% inattivo a
scegliere di entrare nel mercato del lavoro, ad uscire da una mentalità che le vuole “donne di casa”.
Vorrei che lo stato italiano riconoscesse il diritto all’aborto e lo garantisse come servizio, perché sul
corpo delle donne si è già deciso e speculato abbastanza. E perché una legge, come i fatti
dimostrano, non basta. Allo stesso modo vorrei che le donne non fossero costrette a rinunciare alla
carriera scegliendo di avere figlio, vorrei che lo stato fornisse più servizi, più agevolazioni, più
garanzie. E vorrei che un padre, in Italia, potesse seguire la nascita e la crescita del figlio come la
madre, che gli fosse riconosciuto lo stesso diritto alla genitorialità, le stesse garanzie.
Vorrei che le migliaia di prostitute che lavorano in Italia fossero riconosciute come tali, e in quanto
tali tutelate – dato che circa 9 milioni di cittadini italiani ne traggono piacere – perché questo
vorrebbe dire soprattutto garantire la loro incolumità fisica e la loro sicurezza sociale, e forse anche
la loro dignità di donne.
Vorrei che la violenza e l’aggressività nelle relazioni affettive tra giovani, che vede protagonisti
entrambi i sessi, non fosse pericolosamente in ascesa. Vorrei che la società tutta cercasse di educare
i futuri cittadini a comunicare, ascoltare, risolvere i conflitti in modo maturo e rispettoso.
Vorrei che le spose-bambine potessero essere solo bambine, e spose solo quando lo desidereranno
consapevolmente, da adulte.
Vorrei che il turismo sessuale, che vede gli italiani in testa alle classifiche dei clienti, non fosse
sfruttamento del corpo di centinaia di bambine e bambini, e che non avesse tra le sue motivazioni
l’incapacità di avere relazioni paritarie con le donne.
Vorrei che una bambina oggi potesse crescere senza mai incontrare nessuno che la importuni per
strada, a scuola, sul lavoro quando sarà cresciuta. Ma per questo serve un cambiamento di mentalità
generale, che deve essere necessariamente stimolato, educando per primi i più piccoli al rispetto
reciproco, ma senza dimenticare gli adulti di oggi che inevitabilmente sono un modello e un
esempio.
Vorrei che le icone femministe non fossero solo donne, e questo in parte si sta già avverando.
Quindi ora vorrei vedere ancora più donne femministe.

E vorrei vedere più femminismo nella politica, nelle istituzioni, nella società, nelle idee e negli
atteggiamenti di ogni persona.
L’avere venti anni oggi significa godere di molte opportunità e molti diritti che tante donne prima di
me non hanno avuto, ma per cui tante e tanti si sono spesi e hanno lottato, facendo valere idee di
giustizia ed uguaglianza. È compito di noi giovani cogliere questa eredità e farla fruttare, continuare
a coltivare una società che cresca nel rispetto della persona, delle sue differenze specifiche. Una
società che non si chiuda nella violenza fisica e verbale come panacea per tutti i mali. Una società
che educhi i cittadini tutti a vedere nell’altro un compagno di strada e di avventura, non una persona
da sfruttare o umiliare per soddisfare il proprio ego.
Questo è il femminismo secondo me, e non mi sembra un mostro tanto minaccioso.

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