GD alla direzione del PD – Dobbiamo cambiare radicalmente il sistema del partito
GD alla direzione del PD – Dobbiamo cambiare radicalmente il sistema del partito

GD alla direzione del PD – Dobbiamo cambiare radicalmente il sistema del partito

Relazione di Marco Biagioni alla direzione provinciale del Pd Prato sull’esito elettorale

Potremmo dire che è colpa della globalizzazione. In parte è vero. La modernizzazione ha portato a immense disparità infracategoriali: pensiamo per esempio a due operai, con medesime mansioni, ma con contratti diversi. Uno ha l’indeterminato, l’altro ha un contratto a scadenza senza la certezza di un rinnovo e quindi di uno stabile progetto di vita. A volte capita che quest’ultimo alla fine quel lavoro lo perda, senza una formazione adeguata per trovare una mansione che garantisca lo stesso reddito. Magari, padre o madre di famiglia in cassa integrazione, si mette alla ricerca di un nuovo lavoro con un rivale inaspettato: suo figlio. E’ ormai evidente che col tempo in occidente si è creata una situazione nella quale si è insinuata una competizione tra uguali che ha disgregato tutti gli schemi e ha posto le basi per una disconnessione nei rapporti. Oggi non sono più le categorie culturali o la classe sociale quei fattori che accomunano le persone con condizioni simili, ma sono i problemi che esse vivono e quella stessa percezione di insicurezza del proprio avvenire. E così vediamo un giovane italiano lavorare a nero così come una giovane straniera irregolare che è costretta a lavorare nell’illegalità tanto quanto lui: entrambi provano le stesse angosce, sentono la mancanza delle medesime tutele e sognano lo stesso futuro. Eppure non si parlano e sentono di far parte di due mondi diversi. E’ questa la nostra sfida: trovare un nuovo modello che ci permetta di aggregare le persone che vivono gli stessi problemi e le stesse sofferenze. Standoci, però, nei luoghi della sofferenza.

Nella storia la sinistra ha avuto il merito di aver aggregato intere categorie delle fasce più deboli della popolazione verso una chiara visione del mondo che abbattesse le disuguaglianze attraverso il lavoro. Noi dobbiamo essere in grado di dare nuova forma a questa vocazione, noi dobbiamo essere in grado oggi di rappresentare una nuova idea di sinistra che metta nella lista delle sue priorità non solo la libertà e l’uguaglianza, ma anche e soprattutto la fratellanza: concetto del quale spesso ci siamo scordati.

Dico noi intendendo tutto quel popolo del centrosinistra che da noi deve essere accolto e guidato, perché è evidente che qui in Italia non può esistere un’alternativa al Pd in questo senso: Liberi e Uguali infatti non è riuscito nell’intento. Al contrario crediamo fermamente che sia necessario un Pd alternativo. Alternativo al renzismo che ha evidentemente fallito; che non va né perseguito, ma nemmeno condannato.

La colpa non è di Matteo Renzi, ma di un sistema di Partito che nel periodo della crisi della sinistra europea ha gradualmente deciso di abbandonare il rapporto coi corpi intermedi e con il suo campo sociale e culturale di riferimento, invece che svilupparlo, preferendo la via delle istituzioni che da sola non basta. In pochi anni abbiamo occupato le istituzioni, abbiamo fatto delle ottime, buone o discutibili riforme e il Partito è diventato un semplice spazio attraverso il quale raccontarle ai cittadini, o peggio dove raccontarcele tra di noi. Questo perché? Perché la struttura che si era dato era debole e non poteva quindi garantire una larga partecipazione, un’elaborazione critica dal basso e un’azione di cambiamento sociale e culturale concreta all’interno delle realtà più difficili della società. Tutto questo già da prima dell’avvento del renzismo, che ne ha accentuato la semplificazione.

In aggiunta a questo, non abbiamo mai seriamente capito quale fosse il nostro orizzonte, quale fosse la nostra visione generale del mondo e quindi quale fosse il nostro scopo. Ci siamo ridotti a dire che noi siamo il Partito del buon governo, quello della responsabilità e della serietà. Adesso che gli elettori hanno chiarito senza alcun dubbio di non volerci al governo, non c’è più senso di responsabilità che tenga. Sfruttiamo questa occasione non per individuare un nuovo leader, perché non è cambiando un volto che risolveremo i nostri problemi, ma per ripensare un partito che ha perso il coraggio di promuovere con forza i propri valori.

Pensateci bene: alla domanda “cos’è il Partito Democratico” voi cosa rispondete? La nostra forza risiede nel fatto che fra di voi ci saranno risposte diverse, ma accomunate dagli stessi valori.

Il PD ha il grande merito di poter accogliere una pluralità di pensieri che se ben gestita promuove un dialogo costruttivo per la società. Questa pluralità è frutto della storia del Pd, nato dall’unione delle due maggiori tradizioni sociali italiane: quella popolare e quella socialista. Il compromesso che ha portato alla nascita di questo partito è un rarissimo esempio in Europa, certamente il maggiore. Questa peculiarità può essere utile anche in momenti di difficoltà come questo. L’essersi connotato come un progetto mutevole, la cui forza risiede nelle potenzialità, lo rende un progetto politico nel quale riconoscersi anche all’indomani della sconfitta: ora le persone che si riconoscono nei nostri valori e che sono critiche vogliono entrare perché sanno che nel Pd  c’è spazio per il dialogo e la pluralità. E’ adesso che noi tutti dobbiamo fare una seria riflessione per capire quale sia l’orizzonte verso il quale far convergere tutte queste idee.

Qualcuno sostiene che dialogare con i corpi intermedi non possa essere una risposta, che essi non siano rappresentativi, se non di una piccola parte di persone o territori. Si propone di abbandonare l’idea di un modello socialdemocratico, che prevedeva una forte connessione tra partito e corpi intermedi, attraverso i quali poter entrare in contatto con le reali esigenze dei cittadini: se il primo doveva fare gli interessi generali di un’intera società andando a occupare le istituzioni pubbliche, i secondi avevano lo scopo di parlare direttamente con persone che condividevano l’interesse particolare di un tema o di una categoria: è proprio il connubio di queste due funzioni che creava la rappresentanza.

Anche se le logiche di massa non esistono più, arrendersi alla proposta che l’uno occupi gli spazi dell’altro vuol dire indebolire la democrazia e farle perdere quel senso sociale che deve avere l’agire pubblico. Nella crisi della rappresentanza (sia politica che associazionistica) possiamo vedere un’opportunità per scombinare le nostre carte e trovare schemi fino ad adesso ignorati, che determinino la reale novità nei rapporti tra politica e società civile. Abbiamo visto come inseguire l’individualismo nell’epoca della frammentarietà non contribuisca né a ricreare senso d’appartenenza alla comunità del Partito Democratico, né tantomeno a rispondere in modo più adeguato alle esigenze dei cittadini.

Dicevo prima che dobbiamo stare nei luoghi della sofferenza. E allora il Pd deve aggregare chi tocca con mano i bisogni, le esigenze, le difficoltà, e fare sintesi tra quelle istanze in una chiara idea di società. I territori, ovvero le braccia di connessione del Partito con la società, non possono servire solo a raccontare quanto fatto dalle Amministrazioni. Questa visione ha bisogno di essere ribaltata se vogliamo prendere atto del fatto che siamo stati incapaci di tutelare chi è rimasto ai margini di questa epoca dinamica e che l’autoreferenzialità non paga.

Dobbiamo coinvolgere nel processo di elaborazione la cittadinanza e le sue forme di aggregazione, non solo per far sentire partecipi e non meri destinatari delle politiche i cittadini, ma in primis perché è la proposta stessa a risentirne in termini di qualità.

Queste realtà aggregative, dalle associazioni ai sindacati, hanno a loro volta bisogno che il Partito raccolga le proprie istanze e le porti avanti, coerentemente con un’idea e una visione organica di questo tempo. E’ a questo che rinunciamo quando smettiamo di parlare con loro. Non possiamo minimizzare dicendo: “tanto capirai quanti voti spostano”.
Ecco quindi che si crea l’esigenza di attuare un profondo e radicale cambiamento al sistema del PD anche qui a Prato, che abbia come principale obiettivo quello di ricostruire una cultura della nuova sinistra anche nella nostra città. Limitarci a fare una riflessione tutta incentrata sull’Amministrazione è un errore che non dobbiamo più ripetere, così come non dobbiamo soffermarci su un dato rassicurante come la tenuta del PD nella nostra provincia, che però ha registrato il nostro minimo storico e ha messo in evidenza una crisi che imperversa anche qui. Non è una discussione sul come poter comunicare meglio i progetti della giunta che serve in questo momento. Serve una seria elaborazione per un radicale cambiamento del sistema partito. Abbiamo un anno di tempo per cambiare e presentarci alle amministrative forti e compatti: questo cambiamento deve passare attraverso l’instaurazione di un dialogo con le forze progressiste della città e con quelle realtà sociali che toccano con mano i problemi delle persone. Vogliamo un partito che sia promotore e fautore di una visione di città, costruttivamente critico verso l’amministrazione comunale, garante della partecipazione cittadina ai cambiamenti del territorio soprattutto attraverso i propri circoli. Noi Giovani Democratici abbiamo adottato un modello che in due anni ha visto il coinvolgimento di quasi cento associazioni del territorio nella stesura di proposte insieme ai nostri tavoli tematici, partecipati da un numero di giovani in costante crescita. Noi, che condividiamo col nostro partito la responsabilità della sconfitta, mettiamo a disposizione il nostro percorso e il nostro impegno.

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