Distretto e imprenditoria cinese: nuovi orizzonti oltre il mito?
Distretto e imprenditoria cinese: nuovi orizzonti oltre il mito?

Distretto e imprenditoria cinese: nuovi orizzonti oltre il mito?

Il presente articolo rappresenta la sintesi di un momento formativo interno promosso dal tavolo lavoro e dal tavolo integrazione.

Un ciclo di iniziative sul distretto e la città multietnica

Prato è la provincia con la percentuale più alta di cittadini stranieri, oltre 112 etnie che condividono spazi e servizi, all’interno delle quali la cinese è la più numerosa. La nostra è anche una città che conta oltre 27000 imprese, di cui circa ⅓ nel settore tessile, dove troppo spesso si impongono ai lavoratori condizioni inaccettabili fino allo sfruttamento più duro, per questo vogliamo che Prato sia laboratorio nel contrastare il fenomeno e nello studiare il modo in cui lavoro, integrazione, diritti di cittadinanza si intersecano tra loro. 

Il tavolo Integrazione e il tavolo Lavoro si sono quindi trovati spontaneamente ad analizzare il rapporto tra il tessuto lavorativo pratese e comunità etniche, a partire dal rapporto tra distretto tessile e la comunità cinese. Con lo scopo di formarci su un tema complesso ci siamo confrontati con ricercatori e ricercatrici, esperti ed esperte.

Martedì 16 marzo si è svolta la prima iniziativa formativa del ciclo, dal titolo “Distretto e imprenditoria cinese: nuovi orizzonti oltre il mito?con la Docente Universitaria, sinologa e ricercatrice Antonella Ceccagno e con il sociologo e ricercatore Fabio Bracci, autori di testi centrali nella riflessione e nell’indagine sulla storia del distretto e sulle dinamiche che hanno caratterizzato il rapporto con la comunità cinese di Prato.

Proviamo di seguito a riassumere alcuni punti salienti della serata, felici di eventuali feedback. 

Introduzione alla storia del distretto tessile e delle risposte della politica pratese

Negli anni ’80 del 1900 si assiste sul piano globale a processi di disinvestimento nel tessile, dovuti, da una parte, ai processi globali di spostamento della produzione in aree con manodopera a basso costo, dall’altra all’esigenza dell’industria moda di produrre nuovi tessuti, e, infine, al sempre più crescente potere decisionale dei retailers rispetto ai luoghi, alle modalità e ai tempi della produzione. Parallelamente a tali processi globali, Prato è stata centro di processi locali di trasformazione della produzione che concernono il passaggio dalla produzione tessile (produzione del tessuto) alla fast fashion (lavorazione dei capi di abbigliamento), dovuta alla presenza di terzisti e di manodopera non specializzata cinese; i capannoni tessili dismessi, infatti, sono gli spazi di investimento destinati alla nuova produzione. La flessibilità richiesta dal mercato globale è soddisfatta dalla presenza di operai cinesi che vivono dentro i laboratori, e dalla predisposizione agli spostamenti sul territorio nazionale e internazionale.

Inizialmente l’imprenditoria cinese rivolge i propri investimenti al conto terzi: si occupano, cioè, della lavorazione dei capi commissionate dalle ditte finali. Successivamente, invece, spostano i propri interessi sulle ditte finali, controllando tutto il processo di produzione.

Prato viene dunque attraversata da dinamiche glocali e complesse: si trova avere sullo stesso territorio processi di disinvestimento rispetto all’industria tessile che ha come conseguenza un impoverimento della città; dall’altra parte, però, anche dinamiche di investimento di un’industria più modesta che si occupa della produzione di abiti e direzionata alla fast fashion, che diventa, però, centro internazionale.

È da notare, in particolare, che spesso il linguaggio utilizzato dai media o dalla narrazione pubblica è fuorviante: la chiusura delle imprese tessili, infatti, non è stato causato dai cinesi di Prato, ma dall’influenza cinese entro dinamiche globali che ha proposto una produzione alternativa.

In quegli anni la città viveva un momento particolarmente complesso, poiché doveva confrontarsi con i primi segnali della crisi economica, dal crollo delle esportazioni alla crescita della conflittualità sociale alla ricerca di capri espiatori, e la comunità cinese è divenuta quella nemica nella quale rintracciare elementi di incompatibilità endogeni. Si assiste al progressivo dispiegarsi della crisi di un tipico “distretto industriale marshalliano”, tratto identitario della città. Nonostante la crisi si sia manifestata congiuntamente alle cattive prestazioni dell’economia regionale, nazionale e dell’intero sistema moda italiano, il sistema produttivo locale ne è stato colpito in modo particolarmente grave.

L’Amministrazione assume dunque un atteggiamento diverso nei confronti della comunità cinese. Nel “Patto per Prato sicura”, sottoscritto nel Luglio 2007 dalla Prefettura di Prato, dal Comune di Prato, dalla Provincia di Prato e dalla Regione Toscana, si può rintracciare un primo effetto di queste trasformazioni. Nel suddetto Patto per la prima volta vengono associati i concetti di imprenditoria e migrazione con una accezione negativa. Alcuni studiosi e studiose individuano in esso l’apertura di una fase di repressione selettiva dell’imprenditoria immigrata.

Si assiste alla presenza di cani poliziotti, di elicotteri e soldati. Si osserva, in particolare, che l’applicazione della legge nazionale non è uguale per tutti e tutte. L’applicazione della legge è, infatti, selettiva territorialmente, cioè si applica alla città di Prato ma non in altre città, ed è selettiva su base etnica, cioè si applica solo alle ditte cinesi e non alle altre presenti sul territorio.

Ad acuire le difficoltà e condurre a queste misure hanno contribuito l’esigenza di rintracciare un capro espiatorio per il crollo del tessile e la narrazione che descrive l’immigrazione e l’imprenditorialità cinese come un assedio dalle connotazioni negative del cosiddetto “distretto parallelo”.

Tra la notte e l’alba del primo Dicembre 2013 si verifica l’evento che avrebbe segnato la città e le sue politiche in modo determinante per gli anni a venire: il rogo della ditta di confezioni “Teresa Moda”, dove 7 operai cinesi che dormivano abusivamente nei locali perdono la vita. 

Così Il 28 Gennaio 2014 viene presentato dalla Giunta regionale un piano straordinario di intervento nel territorio di Prato e dell’Area vasta Centro. Questo piano straordinario, il Progetto “Lavoro sicuro”, consisteva in un piano triennale di contrasto all’illegalità, il cui obiettivo principale era l’eliminazione dei laboratori-dormitorio. Tuttavia, ancora una volta, si può notare una etnicizzazione dell’attenzione, rivolta alla comunità cinese,  sebbene l’ONG Abiti Puliti abbia confermato, nei medesi anni, che le pratiche regolari e irregolari fossero ugualmente distribuite tra imprese cinesi e imprese italiane.

Tra il 2016 e il 2019 si osservano due fenomeni diversi tra loro, ma che necessitano una comune riflessione. Da una parte, infatti, nel 2016 si assiste alla rivolta dell’Osmannoro: gli imprenditori cinesi chiedono di far cessare i controlli sulle loro imprese. Dall’altra, nel 2019, i lavoratori delle imprese cinesi scendono in piazza: non chiedono l’abolizione del regime dei dormitori, ma la regolarizzazione dei loro salari. Si osserva una mutazione nella necessità di garantire un lavoro sicuro: il passaggio dal regime dormitorio al fenomeno delle etnicizzazione del lavoro e al conseguente sfruttamento lavorativo differenziato in base alla provenienza.

Ricostruzione della presenza cinese in città e mutamenti dell’atteggiamento politico e cittadino

Quando si parla della presenza della comunità cinese e del suo rapporto con la città, che ormai comprende un intervallo di tempo di circa 30 anni, si possono identificare tre periodi storici diversi. Un periodo silenzioso, un periodo conflittuale e un periodo di normalizzazione.

Il periodo silenzioso

Verso la fine degli anni ‘80, come detto sopra, cominciano a formarsi le prime aziende terziste cinesi, che si occupano di confezioni e lavoro della pelle ma soprattutto di maglieria. Il distretto pratese si era appoggiato per la manodopera attingendo dalla migrazione interna, ma ormai esaurita cercava di rispondere a tempi di produzione più veloci e maggior flessibilità nella manodopera cinese. È importante ricordare che in questa fase i committenti sono ancora tutti italiani, assistiamo dunque ad un insediamento in posizione subalterna. È una presenza funzionale al contesto produttivo, che quindi genera pochi conflitti anche nel dibattito locale. Con la crescita della popolazione di origine cinese sul territorio si assiste anche ad un cambiamento dei rapporti produttivi e lavorativi, una parte delle imprese terziste a conduzione cinese infatti risale la filiera diventando impresa finale e quindi autonoma dalla committenza italiana. 

Il periodo conflittuale

La fase conflittuale quindi matura già agli inizi degli anni 2000. Eventi nazionali e internazionali influenzano questo rapporto, importante è il 2002 con la sanatoria della Bossi-Fini, che regolarizza 600.000 persone, e che a Prato assume specificità come la formazione del presidio informale del consolato cinese di via Filzi, presidio non autorizzato. Si parla di 5000 persone che si rivolgono ad un ufficio per chiedere informazioni sulle regolarizzazioni. La crescita non è più silenziosa, e diventa un fenomeno di interesse pubblico.  Nel 2004 termina l’accordo europeo multifibre, un sistema di protezione del mercato verso i paesi in via di sviluppo,  con un conseguente indebolimento del sistema tessile. Il settore è in crisi, con la fine anche di una figura simbolica e storica del distretto e della città: il tessitore conto terzi. Il Conflitto matura anche grazie  alla costruzione della narrazione del distretto parallelo e dell’assedio dei cinesi. Una lettura dicotomica che separa il distretto perfetto e ideale da quello malato che ne attacca la presunta integrità. Il riflesso politico a questi conflitti sancisce il cambio di colore dell’amministrazione comunale nel 2009, dopo una campagna elettorale incentrata a porre l’accento su questo conflitto.

L’insediamento cinese salta le mediazioni locali, economiche (sistema produttivo indipendente dalle ditte italiane), e quelle politiche. La relazione è ormai conflittuale, e si cerca di risolverla con soluzioni contenitive, punitive e di controllo. Con l’incendio del 2013 del Tersa moda si segna una ferita profonda nella città, come già detto, e evidenzia una criticità gravissima: sempre più imprenditori italiani dichiarano di lavorare con cinesi, ma solo con quelli regolari, stabilendo una linea di separazione tra cinesi buoni e cinesi cattivi. Si diffonde e si palesa anche sulla stampa il forte timore dei proprietari di capannoni, tutti pratesi. 

Il Teresa moda mostra dunque le dimensioni dello sfruttamento estremo, ma mostra anche gli intrecci e le relazioni che contraddicono l’idea del distretto parallelo

Il periodo della normalizzazione

Il tema cinese esce dal dibattito, per un fattore di tempo o perché nel 2014 ritorna un’amministrazione di sinistra e perde la centralità degli anni precedenti. È il terzo periodo: quello della normalizzazione. È da una parte positivo, perché si comprende che la presenza cinesi è strutturale, come nelle scuole o all’anagrafe si capisce che i cinesi sono qui per restare. Ma il dibattito sul tema ha perso centralità nel dibattito pubblico e nel discorso politico. Non studiamo più. Sull’organizzazione del lavoro, le relazioni di filiera, la digitalizzazione, che cambiano i modelli produttivi e locali. Se smettiamo di osservare, i processi ci passano sopra, e li viviamo passivamente

Rilanciare il dibattito per rilanciare il distretto

Contribuisce ad un senso profondo di distacco dalla politica, di cui non si percepisce più l’utilità. E si diffonde l’idea che il sistema locale sia impotente rispetto a cambiamenti globali e predeterminati. il secondo motivo per cui non va bene la normalizzazione è  legato al comportamento degli attori. Il centro sinistra evita il tema, non c’è proprio una visione della città nel suo complesso. Va studiata la presenza cinese non come corpo esterno ma nel suo contesto, osservandone la complessità e le interdipendenze. Non si vogliono negare le criticità, ma capire che nesso c’è tra i lavoratori e noi cittadini; perciò bisogna mettere sotto osservazione le trasformazioni il modello produttivo. 

– Prato è rimasta sconfitta dai cambiamenti globali. Prato cosa può fare? Non se lo sta chiedendo. Alcune cose valide anni fa non sono più valide. Fondamentale anche superare il senso di impotenza di un’amministrazione pubblica e quindi della città. Città che si da per sconfitta in partenza. 

– Il ruolo della sinistra: dei cambiamenti ci sono stati ma non sono sostanziali perché si ha paura di affrontare in maniera strutturale il problema. Il nuovo lavoro etnicizzato dei pakistani e degli africani, si inserisce non in una politica amministrativa, ma in un cambio globale, e la crisi dei migranti del 2015. Si, si è idealizzato il modello pratese. Dove ci collochiamo noi in tutto questo?

Il rapporto tra ricerca, amministrazione e politica

Non affrontiamo questa discussione partendo da un assunto iniziale che può trarre in un errore metodologico. Prato non è eccezionale. Quello che succede qui accade anche da altre parti d’Italia. Il senso di impotenza di cittadini e amministratori si percepisce anche altrove. Prato è differenziata perché alcune criticità cadono da più in alto, per ciò che riguarda il livello economico e per produzione teorica. Non è scontata l’evoluzione che ha prodotto anche modelli interpretativi del distretto. La ricchezza è ancora presente, l’impatto quindi si avverte in forma più intensa. Per ciò che concerne i cambiamenti avvenuti tra 2009 e 2014 se ne possono rintracciare sostanziali. Entrambi legati alla dimensione della retorica.  In primo luogo la destra non evita di manifestarsi in atteggiamenti aggressivi sul tema: il linguaggio che veicola contenuti non è un aspetto secondario. In secondo luogo nella costruzione della destra era chiara l’idea di voler allontanare componenti straniere competitive, prendendo come modello le politiche di deflection, attuate negli usa, che rendono invivibile la vita alle persone e le costringono ad emigrare. La normalizzazione non è un atteggiamento puramente positivo. Si fa riferimento alla parte normale, e si spuntano le parti più violente.

Il dibattito sul tema deve essere autentico. Bisogna che l’amministrazione sia in grado di gestire anche delle conseguenze sgradevoli, che magari vanno a ledere degli interessi particolari o posizione consolidate. Il freno al lato negativo del processo di normalizzazione è un riflesso condizionato di aprire fasi di discussione di difficile gestione. L’impressione è che sovente la sintesi e l’esito di discussioni sia già predeterminato. 

Un osservatorio di ricerca per Prato

In una realtà multiculturale come quella pratese, è necessario predisporre gli strumenti utili per comprendere il suo contesto e per direzionare, sulla base di dati empirici, le sue politiche. 

Per questo riteniamo fondamentale progettare il primo osservatorio di ricerca interdisciplinare, in grado di studiare i fenomeni sociali, economici e culturali della nostra città, e di fungere da supporto nelle attività di sviluppo per il Comune. Lo pensiamo ubicato presso il nostro Polo Universitario e composto da assegnisti retribuiti attraverso fondi devoluti dalla Regione e formati nelle discipline socio-economiche, giuridiche, antropologiche e linguistiche. L’osservatorio dovrà periodicamente confrontarsi con le varie realtà fautrici delle dinamiche della città, come rappresentanti delle associazioni culturali, sindacali, religiose e delle piccole e medie imprese.

Per garantire un distretto produttivo sempre più efficiente è necessaria, inoltre, una ricerca improntata sulla sperimentazione tecnologica e sociale, configurandosi così come ponte ideale fra conoscenza, politica, innovazione e società.

Prato non studia se stessa nonostante sia un vero e proprio laboratorio per le politiche d’inclusione e di lotta allo sfruttamento di oggi e di domani. La politica deve superare l’idea di poter essere autosufficiente e costruire la propria azione sulla base di dati e studi. 

Per questo nel 2017 abbiamo portato avanti una campagna di sensibilizzazione, “Dati per scontati”, per sottolineare l’assenza di numeri su fenomeni centrali per la città; per questo abbiamo elaborato e promosso una mozione sulla ricerca, approvata dal Consiglio Comunale; per questo, concluso il ciclo formativo, torneremo a pretendere che a Prato venga predisposto un sistema di ricerca strutturato e lungimirante, affinché non si debbano subire i fenomeni che attraversano il nostro territorio, ma si possa tentare di guidarli. 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

http://www.nextprato.it/
X