Borsellino, Via D’Amelio e l’Agenda Rossa
Borsellino, Via D’Amelio e l’Agenda Rossa

Borsellino, Via D’Amelio e l’Agenda Rossa

Di Francesco Natali, iscritto GD Prato

 

Ventotto anni fa l’Italia intera perse un magistrato e un uomo di Stato che dedicò la propria vita alla lotta contro la Mafia: il Dottor Paolo Borsellino.
Ricorreva infatti ieri l’anniversario della Strage di Via d’Amelio dove persero la vita il magistrato e i suoi protettori, gli agenti della scorta Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli ed Emanuela Loi. I feriti della strage furono 24 e le vittime totali furono 6, uomini di Stato che fino all’ultimo scelsero di non avere paura o desistere dai loro incarichi per portare avanti con responsabilità, sacrificio ed altruismo una lotta che tutt’oggi combattiamo e che anch’essi hanno combattuto, per lasciare un’Italia migliore a noi e alle generazioni future. Hanno lottato per un paese libero dalla Mafia e dalle organizzazioni criminali, dove la Costituzione regolamenta la vita e dove vige pienamente ed effettivamente la Democrazia.

Il 19 luglio 1992, in una calda domenica siciliana, a Palermo si consumò una strage che sconvolse tutta la nazione: una Fiat 126 imbottita di tritolo saltò in aria in una piccola strada del capoluogo siciliano.
Doveva essere una domenica tranquilla per il Dottor Borsellino, poiché stava rientrando in città dopo una piacevole giornata estiva passata con la famiglia al mare.
Il programma prevedeva che arrivasse in Via d’Amelio sotto casa della madre, per poterle fare visita, ma la madre non lo vide mai arrivare.

Il periodo era particolarmente concitato: il Dottor Falcone, suo fraterno amico e collega, fu assassinato solo 57 giorni prima sull’autostrada A29, uscita Capaci, e insieme a lui morirono gli agenti della scorta e la moglie Francesca Morvillo.

Alle ore 16.58 la Fiat 126 esplose e mise fine alla vita di un magistrato e uomo di Stato che aveva dimostrato con tutto il duro lavoro portato avanti, anche dopo la morte del collega e amico Falcone, che la mafia si potesse e dovesse combattere, se non provare a sconfiggere. In numerosi  degli appunti del Magistrato è stato riscontrato che, già prima di quella domenica sera, lui stesso si immaginava che in poco tempo sarebbe stato assassinato: aveva visto la fine che Giovanni e Francesca avevano fatto a Capaci e dichiarò (fu rilevato dalle intercettazioni telefoniche, visto che il dottore aveva ormai da tempo il telefono sotto controllo dalle forze dell’ordine al fine di garantire la sua incolumità) che il tritolo che lo avrebbe ucciso era già arrivato in città. Era ormai questione di tempo, doveva solo aspettare la sua ora.

Da quella domenica sera, gli elementi che stravolsero e complicarono le indagini furono molti: dal depistaggio delle forze dell’ordine alla scomparsa dell’ Agenda Rossa – un piccolo taccuino intriso di notizie che forse sarebbe stato utile a scovare i clan mafiosi, ma mai ritrovato sulla scena del crimine ed ancora oggi non rinvenuto.

E’ probabile che furono gli stessi scagnozzi dei clan e delle famiglie mafiose che, nei minuti successivi all’esplosione o nei momenti concitati dei soccorsi, si incaricarono di far sparire questo prezioso oggetto il quale avrebbe potuto compromettere la loro esistenza.

Nei 57 giorni di calvario che il magistrato visse furono molte le volte che implorò di essere ascoltato da parte di magistrati e amici del pool antimafia (del quale aveva fatto parte con Falcone) affinché potesse riportare notizie significative; ci provò in ogni modo a far venir fuori quelle tanto scomode quanto necessarie verità che avrebbero contribuito alla salute democratica del paese, ma non ci riuscì mai.

Non gli fu mai data la possibilità di raccontare e parlare, non ebbe mai il tanto agognato incontro nei palazzi cittadini con i procuratori e colleghi che avrebbero potuto salvarlo, se solo lo avessero ascoltato in tempo.

Gli avvertimenti utili a tenere cara la pelle furono molti, ma Borsellino non si arrese mai e a denti stretti , nonostante la paura e la la rabbia nel cuore per la morte di Falcone, continuò ad indagare e a cercare nomi, fatti e notizie utili ad incastrare Cosa Nostra: fu un percorso di resistenza dov’egli cercava di lavorare il più possibile in virtù della verità e della  giustizia fino allo stremo delle sue forze, per poi essere brutalmente assassinato sotto casa della madre.

Il fratello di Paolo, ancora oggi, afferma che la bara del magistrato potrà essere chiusa solo quando verrà fatta luce su tutta la vicenda e la celebre agenda verrà trovata: solo così Paolo potrà trovare pace.

I depistaggi, le incongruenze giudiziarie, le condanne mai arrivate (nonostante i quattro processi aperti e tutti archiviati sulla strage) restano ancora casi irrisolti e nessuno vi presta più attenzione. Cosa Nostra e le organizzazioni criminali simili alla mafia siciliana che negli anni si sono sviluppate sono ormai radicate profondamente in tutto il territorio nazionale e non solo, persino in Europa, come dimostrato dai procuratori antimafia.

Negli anni le indagini sono state portate avanti da giudici diversi e da diverse commissioni d’inchiesta, ma la verità ancora oggi non è chiara ed i responsabili, mandanti ed esecutori non hanno pagato per i delitti commessi.

Oggi Via D’Amelio è diventata un luogo simbolo della città, dove ogni palermitano si reca in onore dell’anniversario della strage e ogni turista o scolaresca va per lasciare ricordi e pensieri all’Albero della Pace, un albero piantumato per ricordare la strage e non far mai abbassare i riflettori su tutte le stragi mafiose consumate nel tempo. Stragi che hanno ucciso e ferito innocenti ai quali è stata tolta una delle più grandi libertà, che la Costituzione garantisce e difende: la libertà di parola.

In questa giornata tutto il mondo politico ha reso omaggio ad un servitore dello Stato, ma l’omaggio più alto è arrivato dal Capo di Stato Mattarella che ha affermato che dobbiamo tutti imparare da Borsellino la via del coraggio, in modo da non disperdere le forze di tutti coloro che sono stati zittiti da colpi di pistola, bombe o esplosivi.

Nel tempo i parenti delle vittime sono diventati anziani e sono già morti a loro volta: in uno Stato repubblicano, democratico e moderno quale il nostro non possiamo pensare che il peso di queste morti e le verità non ancora trovate siano interesse di soli amici o persone vicine ai defunti. Da noi cittadini è doverosa almeno una promessa: non dimenticheremo mai chi ha dato la propria vita per difendere la Costituzione e la Democrazia, promettiamo di impegnarci a chiedere a gran voce chiarezza su tutte quelle stragi mafiose che ancora non hanno trovato verità e giustizia, al fine di garantire un’esistenza degna, priva di ricatti e omertà che tuteli la libertà.

Lo Stato vince sempre sulla mafia, perché lo Stato è forte e la mafia è vile, lo Stato è giustizia e la mafia è una piaga e in quanto tale deve essere sconfitta.

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