Black Lives Matter, in memory of George Floyd
Black Lives Matter, in memory of George Floyd

Black Lives Matter, in memory of George Floyd

Di Michele Arcidiacono

 

 

Difficile trovare le parole per descrivere le immagini che una volta filmate hanno reso manifesto al resto del mondo ciò che negli USA è all’ordine del giorno. La barbara dinamica che ha riguardato l’assassinio di George Floyd, a Minneapolis e in pieno giorno. La morte assurda di un uomo, che lascia sgomenti per la banalità del male con la quale è stata perpetrata. È uno scandalo come il poliziotto in servizio abbia premuto il ginocchio sul suo collo per la durata di 8 interminabili minuti.
È scandaloso, ma è purtroppo solo l‘ennesimo caso di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine. La verità è che non è un caso isolato, ma la goccia che ha fato traboccare il vaso di un Paese con i nervi a fior di pelle a causa della esasperata condizione sanitaria attuale che sta mietendo moltissime vittime anche tra la popolazione afroamericana, penalizzata tra i penalizzati che risente anche economicamente di questa situazione. Prendendo in prestito un aforisma di Alice Walker, autrice de Il colore viola, quando l’America bianca prende il raffreddore, l’America nera prende la polmonite. Il giogo dell’oppressione non si dissolverà restando a guardare, ma ne saremo tutti complici. La disparità netta di risorse e opportunità ha impattato ancora più negativamente sulla comunità afroamericana in quanto questa crisi andava a incunearsi già in una ferita aperta. Le diseguaglianze e il razzismo sistematico che subiscono gli afroamericani da secoli hanno a volte fiaccato il morale di chi spera in una realizzazione del messaggio di Martin Luther King Jr.
Affermiamo che il razzismo è asfissia che impedisce di respirare aria pulita. Rende gli ambienti avvelenati e favorevole a scontri sanguinosi. La temperie di odio diffuso e a più livelli non si è mai placata e puntualmente si ripresenta come esito di una mentalità malata di sopraffazione. In quanto Giovani Democratici di Prato non vogliamo e non possiamo esimerci dal mostrare, seppur nel nostro piccolo, commozione e solidarietà all’ultima vittima di un sistema perfido e discriminatorio. La politica è fatta di simboli ed è facile identificare oggi in George Floyd un simbolo: un simbolo della resistenza all’oppressione; per questo gli rendiamo omaggio, senza dimenticarci che dietro ad ogni simbolo e storia si cela un essere umano con le sue fragilità e sogni. George Floyd era nero e la sua vita contava. George Floyd era un uomo, e la sua vita aveva un valore. I problemi d’oltreoceano ci riguardano. L’afflato internazionalista, che deve contraddistinguere una forza di sinistra, deve indirizzare la lotta contro ogni disuguaglianza e ingiustizia, dovunque essa si annidi e far sì che essa possa essere estirpata.  Il cambiamento appare più che mai necessario e inderogabile: il malessere è palpabile e la pazienza è finita. Tutto ciò non è più tollerabile né negli Stati Uniti d’America né in Italia, in casa nostra, nei nostri quartieri. Grave errore sottovalutare la xenofobia, che scorre sotterranea e troppo spesso si manifesta con esiti atroci: non è un fenomeno contingente ma basa la sua forza nel denigrare e discriminare ogni diversità.

Non permetteremo che ciò continui impunemente, abbiamo sulle nostre spalle il dovere di opporci compattamente e in maniera convinta contro una piaga che riguarda tutte e tutti da vicino.
E per farlo non possiamo che farci guidare dalle comunità etniche e dalle associazioni culturali che raccolgono cittadini di seconda generazione o con storie migranti presenti sul territorio, per sconfiggere l’intolleranza partendo dal basso e promuovere finalmente, senza paura, la comunità contrapponendola a chi vorrebbe, anche qui da noi, dividere il mondo ancora seguendo l’anacronistico e sbagliato concetto di “razze”.

Tutta la politica è responsabile dei processi di integrazione, avvenuta o mancata; una forza come il Partito Democratico, al governo, deve rimuovere immediatamente i vergognosi decreti Salvini e ripensare seriamente un discorso interno e pubblico che rimetta in discussione e cambi la Bossi-Fini. Lo Ius Soli non si è ancora concretizzato e questa è un’altra macchia che accompagna un tema di vitale importanza per moltissimi italiani e italiane che aspettano il riconoscimento di un loro diritto.

La consapevolezza della questione afroamericana permette di confrontarsi con forti spinte ideali al fine di progettare una strada comune. Ma partiamo da qua, dalla nostra città, la più multiculturale d’Italia, per combattere il razzismo sistemico dal basso anche nel nostro paese, per lasciarci guidare dalle comunità e imparare ad essere amplificatori delle loro voci.

Prerequisito per un confronto senza ipocrisie è necessario un terreno di valori comuni sui quali intavolare un dialogo; tuttavia questo è molto complicato quando si riconosce che certe azioni meschine sono solo la punta dell’iceberg: sono frutto di un retroterra “culturale” consolidatosi attraverso stereotipi con i quali gran parte dell’opinione pubblica passiva è bombardata e perciò è così restia a esporsi pubblicamente per rivendicare uguaglianza, dignità e giustizia.

A sentire le parole dell’attuale, e speriamo non prossimo, presidente degli USA, che paragona la popolazione nera relegata in ghetti culturali ed economici a teppaglia, il sangue si ghiaccia; lo stesso soggetto divisivo spara sentenze oscene per la memoria delle vittime non solo del virus ma anche della quotidiana indifferenza e barbarie che si reitera. Trump sbeffeggia i manifestanti, e in questo modo getta benzina sul fuoco; la sua inadeguatezza a ricoprire un ruolo così importante si manifesta ancora una volta anche per la totale mancanza di prospettive politiche per il futuro e soluzioni: non può alzare muri perché il “problema” è all’interno. Le cariche selvagge della polizia contribuiscono solo a fomentare ancora di più la conflittualità.

Le manifestazioni non sono legate solo alla tragica fine di George Floyd, ci sono stati innumerevoli altri nomi.

Resta l’amarezza, ma anche la consapevolezza che la situazione non può essere accettata così come è, e lo sforzo deve essere teso al cambiamento radicale della situazione, guardando al presente con rabbia, al futuro con speranza: la speranza in un futuro in cui nessuno debba mai più dire “I can’t breathe”.

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