Cinque anni senza Giulio
Cinque anni senza Giulio

Cinque anni senza Giulio

di Fausto Giglioli, Tavolo Europa e Politica Estera GD Prato

Sono passati cinque anni.

Cos’è cambiato? Il mistero è stato risolto? Abbiamo delle risposte?
Non è cambiato niente.
Quale mistero? Non è mai stato un mistero, ma solo una farsa per mantenere la faccia nelle relazioni diplomatiche.
Le risposte le abbiamo adesso quanto 5 anni fa: Giulio Regeni è stato brutalmente torturato per una settimana per poi essere ucciso dai servizi segreti egiziani.

Sono passati 7 anni.

7 anni dal colpo di stato perpetuato dal generale Al-Sisi, l’attuale dittatore dell’Egitto, e 9 anni da piazza Tahrir, le cui infiammate proteste spaventano tutt’ora il regime, tanto da provocare stragi ad ogni anniversario dell’evento.

Quando è scomparso, Giulio si trovava nei pressi della piazza, durante il quinto anniversario delle proteste.

Fin da quando si è insediato Al-Sisi con la forza, sono morte migliaia di persone a ogni ricorrenza delle manifestazioni: nel 2013 mandò persino i mezzi corazzati, massacrando circa 1000 persone.
Da quel giorno in poi, ogni anniversario ha segnato stragi pubbliche: 60 manifestanti uccisi nel 2014, 25 nel 2015 e innumerevoli arrestati, picchiati, torturati, scomparsi.

Il dittatore teme queste proteste, che sono state in grado di rovesciare il suo predecessore in passato, tanto che uno dei suoi primi atti ufficiali è stato quello di bandire i raduni non autorizzati di più di dieci persone. In tutto questo, varie teorie di complotto sono partite dai vertici governativi, teorie che danno come fomentatori e mandanti della primavera araba egiziana i paesi occidentali.
Per questa xenofobia diffusa a livello istituzionale, tutti gli stranieri sono visti come potenziali spie, soprattutto quelli che studiano e fanno ricerca.
Molti vengono perquisiti e detenuti per brevi periodi, ma volendo ritornare in Egitto in futuro non denunciano mai i casi.

Per questo motivo la brutale uccisione di Regeni, la detenzione illegale di Zaki, altro ricercatore studiante a Bologna e detenuto con accuse di “cospirazione contro il regime”.
Non sono gli unici: centinaia di cittadini egiziani spariscono ogni mese, mentre noi europei, “paladini dei diritti” tacciamo a causa di interessi economici.

Proprio con l’omicidio di Giulio si è visto quanto la collaborazione internazionale anche da parte dell’Europa sia debole: mentre il regime proponeva oltraggiose ipotesi sulle cause della morte (come un delitto di passione da parte di un amante omosessuale), i governi europei facevano poco per costringere diplomaticamente l’Egitto a collaborare.

L’Inghilterra ha condannato il crimine in ritardo, e soltanto dopo che una petizione di 10000 firme aveva chiesto delle risposte.
La Francia invece, in maniera ancora più scandalosa, ha taciuto sull’argomento, vendendo armi per 1,1 miliardi di euro all’Egitto. E come se non bastasse: l’assegnazione della Legion d’onore ad Al-Sisi, la più alta onorificenza francese, proprio recentemente.
L’Europa ha condannato con una risoluzione l’accaduto, ma che serve questo se poi non si materializza la solidarietà apparente?
Persino l’Italia ha continuato a esportare armi, consegnando fregate, cacciabombardieri e altro ad un governo attualmente impegnato in conflitti nello Yemen e in Libia.

Questo atteggiamento totalmente contraddittorio e irrispettoso viola pure una lunga serie di leggi nazionali e internazionali:

La legge n.185 09/07/90: In questa norma si legge che l’Italia non può autorizzare esportazioni verso paesi “i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”.

Il “Trattato internazionale sul commercio di armi” delle Nazioni Unite, che l’Italia ha ratificato, nel 2014: richiede agli stati di valutare se le armi da trasferire vadano a minare la pace e la sicurezza.

E molte altre norme di embarghi a livello europeo e internazionale.
Perché l’Italia si fa complice di questi abusi dei diritti umani?
La risposta è semplice: la nostra nazione è il partner principale commerciale dell’Egitto, seguita dalla Francia.

I nostri interessi sono chiari – basti pensare al giacimento di gas naturale scoperto dall’Eni davanti alle coste egiziane due anni fa – e si può dedurre che non metteremo mai alle strette questo regime. È sconfortante constatare quanto la nostra Costituzione e anni di dichiarazioni umanitarie possano venir ignorate per biechi interessi economici.

Con la volontà politica ed una Europa unita, un’Europa federale, non ci vorrebbe molto per far capitolare un paese simile: innanzitutto veri embarghi commerciali su qualsiasi tipo di armi e veicoli militari, poi un vero fronte comune a livello internazionale che porrebbe fine anche alla partecipazione del regime nei conflitti yemeniti e libici.
Non possiamo lasciare che queste disumane realtà si ripetano ogni giorno, bisogna intervenire adesso, non solo come singolo stato, ma come comunità internazionale, unita contro l’abuso dei diritti umani, contro regimi dittatoriali e, soprattutto, contro il silenzio.
Non possiamo permettere che accada di nuovo, che Patrick Zaki subisca la sua stessa sorte, lui insieme a migliaia di altri cittadini e studenti.

Sono passati cinque anni, non facciamone trascorrere altri per nulla.

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