Se la politica entra nelle scuole, ma nei modi sbagliati
Se la politica entra nelle scuole, ma nei modi sbagliati

Se la politica entra nelle scuole, ma nei modi sbagliati

di Marta Logli, Rappresentante d’Istituto e di Consulta del Liceo Copernico di Prato

Sono quasi alla fine del mio mandato. Tra un anno avrò la maturità e come tanti studenti mi affaccerò al mondo dell’università. Vorrei però lasciare questo mio pensiero sul percorso fatto fino ad oggi.

Ho sempre pensato che la scuola fosse quel luogo in cui non si apprendono solo nozioni, ma si impara a stare con l’altro, a condividere e a confrontarsi con chi ha idee diverse dalle tue. Non a caso, infatti, ho conosciuto l’impegno politico proprio fra le mura del Copernico: prima nella Federazione degli Studenti, poi da rappresentante di Consulta e Istituto. Ho deciso di candidarmi a rappresentare gli studenti perché credevo che ognuno, con i propri mezzi, dovesse impegnarsi per migliorare le scuole pratesi, il nostro presente.

Questo per me significa esercitare la più alta forma di democrazia: confronto, dialogo, comprensione e rispetto dell’altro. Ultimamente, però, nelle scuole, la politica entra a fatica. Quando entra, viene presentata come intrattenimento per paura di annoiare gli studenti e spesso mi chiedo il perché. Noi non abbiamo bisogno di essere intrattenuti. Nella mia esperienza, credo di aver compreso che gli studenti non hanno paura della politica, e non hanno paura dell’attualità. Il fatto che si cada nell’errore di farla entrare nelle scuole attraverso assemblee incentrate su slogan superficiali e un clima da campagna elettorale, mi rattrista.
Noi studenti abbiamo il diritto di pretendere dibattiti che siano palestra di confronto e di dialogo con idee diverse dalle nostre.
Noi rappresentanti abbiamo il dovere morale di garantire interlocutori di qualità, che siano da una parte rappresentativi del proprio partito di riferimento, e dall’altra rispettosi dell’opinione altrui, senza scadere in slogan beceri.
Noi cittadini sappiamo che il modo migliore per elaborare un pensiero critico, necessario per vivere in una società democratica, è affrontare temi complessi e delicati con i giusti tempi e il giusto rispetto.
Per questo io mi auguro che gli studenti di domani diano ai momenti di assemblea l’importanza che si deve a un diritto acquisito con anni di lotta studentesca.

Credo che la scuola abbia come compito principale quello di formare i futuri cittadini: è il primo luogo in cui impariamo ad esercitare la democrazia, e non dobbiamo dimenticarci che essa si misura attraverso la qualità della sua informazione. Viviamo in un periodo in cui domina la post verità: assistiamo costantemente a fake news, a titoli eclatanti che cavalcano il populismo, e che portano alla conseguente esasperazione e rassegnazione delle persone rispetto al mondo politico, allontanandole da esso.
La scuola, a mio parere, deve invece insegnarci ad essere interessati, curiosi, appassionati: ci dà informazioni e conoscenze, ma anche stimoli e strumenti per continuare a conoscere in autonomia. Se a scuola si imparava a leggere ogni libro, oggi si deve imparare a leggere ogni articolo, a riconoscere la verità dalle bufale, a cercare le fonti e soprattutto ad ascoltare con attenzione e criticità i nostri interlocutori. La scuola, nella sua missione attuale, ha l’onere di formare una cittadinanza consapevole che sappia riflettere sulle informazioni che riceve.

Per queste ragioni, non possiamo accettare che l’unico contatto con la politica sia una brutta copia, un gioco all’imitazione della peggior politica a cui assistiamo in tv: personalistica, autoreferenziale e inconcludente.
Ecco perché rivolgo questo appello alla Consulta e ai Rappresentanti, chiedendo loro di impegnarsi, dal prossimo anno, a promuovere la politica nelle scuole in maniera seria e responsabile. Perché credo che noi, che viviamo la scuola e che saremo chiamati a costruire il futuro del Paese, non dobbiamo accontentarci, ma proporre un’alternativa al modo di raccontare la politica.

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