La rappresentanza nel 2016, pregio o difetto? Uno sguardo sui Sindacati
La rappresentanza nel 2016, pregio o difetto? Uno sguardo sui Sindacati

La rappresentanza nel 2016, pregio o difetto? Uno sguardo sui Sindacati

di Niccolò Brizzi, giovane iscritto CGIL Prato

Qual è il vero significato del concetto di rappresentanza legale, sindacale o semplicemente politica? Nella sua accezione più comune e semplicistica esso delinea un compimento di attività, in particolare giuridiche, in nome e per conto di altri, ma anche di una persona o, più spesso, di una delegazione di persone che svolge funzioni in nome di altri. Ma chi sono questi “altri”? Sono gli elettori, i lavoratori e più semplicemente i cittadini, coloro che necessitano di strutture e organizzazioni che possano aiutarli nei momenti di bisogno.

Oggi si è perso di vista la vera essenza delle due brevi definizioni sopra citate, si presta più attenzione a chi rappresenta e non a chi viene rappresentato, eppure il fulcro, il cuore della rappresentanza, sono i rappresentati, gli individui stessi, presi nelle loro singolarità e particolarità. In campo sindacale questo concetto dovrebbe costituire la natura stessa del mestiere, o meglio, della missione del sindacalista. La rappresentanza è la base su cui deve poggiare, e dalla quale deve prendere origine, la condizione di colui che lavora nei sindacati, inteso perciò come rappresentante dei lavoratori. Il rapporto che si genera fra lavoratore e sindacalista è di fiducia, di delega e di correttezza deontologica. Senza questi elementi si rompe e va in frantumi lo schema stesso della rappresentanza.

Dunque, rappresentare vuol dire agire continuamente per il bene e gli “interessi” di coloro che vengono rappresentati. In un’ottica strettamente sindacale, la rappresentanza è anche il fattore sul quale si basano i rapporti di forza con le controparti; essi si manifestano con azioni, manifestazioni, capacità di movimentare le masse e devono essere una voce autorevole sul campo di propria competenza. La rappresentatività invece, definibile come il potere di stipulare contratti, si misura sulle tessere. Oggigiorno essa è sovrastimata e considerata elemento primario, se non necessario, dei rapporti tra sindacati e le altre sfere dell’agire sociale comune (politica, economia, lavoro ecc.) quando, in realtà, anch’essa prende vita dalla rappresentanza. Ogni decisione deve essere consapevole, mediata e condivisa il più possibile da tutti, tenendo presente che su temi rilevanti come il lavoro non sarà quasi mai possibile trovare una decisione unanime. Oggigiorno queste parole appaiono molto lontane dalla realtà; parlando di sindacato, pensiamo ad un’organizzazione disgregata, instabile al suo interno e non inserita in un sistema di solidi dialoghi e rapporti con le altre associazioni esistenti. Al contrario, pensiamo subito ad un mondo quasi incomprensibile, dove forse i conflitti sono più interni che esterni: membri, categorie e dirigenti che non riescono a prendere decisioni concordi, che non riescono a fare presa sulle fasce più deboli della popolazione, prima fra tutte quella giovanile.

Il punto debole dei sindacati è proprio questo: non riescono a farsi conoscere. Non riescono a rinnovare le proprie fila di iscritti attirando giovani lavoratori, e allo stesso tempo, stanno perdendo la fiducia dei lavoratori più anziani, che non si sentono più adeguatamente rappresentati. Lo schema mentale e di azione delle organizzazioni sindacali di oggi è probabilmente superato, non ci si può aspettare che siano solo i giovani a cercare contatti, ma è il sindacato che deve cercare di anticiparli, avvicinandosi a coloro che, usciti dai vari percorsi di studio, possono aver bisogno di informazioni o di aiuto nella ricerca di un primo impiego. I giovani non sono un male da evitare, sono la futura classe dirigenziale, impiegatizia e via discorrendo, delle nostre città; sono coloro che vanno tutelati, e a cui si devono tramandare conoscenze e valori.

I dirigenti sindacali non devono stupirsi se il ricambio generazionale interno va a rilento, o se l’interesse delle nuove generazioni scarseggia: ciò è dovuto alla mancanza di informazione sul sindacato. Nella nostra società avanzata essa è fondamentale, noi viviamo nella “Società dell’Informazione”: società dove le notizie circolano ad una velocità sorprendente, grazie ai social e alla globalizzazione. Come può un’organizzazione pensare di poter continuare ad esistere, senza propaganda ed iniziative informative nelle scuole o fuori dai luoghi di lavoro?

Quello che stanno vivendo e, allo stesso tempo, alimentando gli stessi sindacati, è un vero e proprio distacco sociale, una frattura tra membri, iscritti, giovani e in generale tutti coloro che ne sono esterni. Continuando ad ignorarla, tale frattura, può essere molto rischiosa: a lungo andare la scarsa attenzione per i giovani, accompagnata dal sempre minor potere dei sindacati (fenomeno che stiamo già vivendo) potrebbe portare ad una loro delegittimazione, che non farebbe altro che peggiorare la già precaria situazione del mondo del lavoro.

Alla scarsa attenzione dei sindacati nei confronti dei giovani e alla difficoltà nel rappresentarli, si aggiungono altre problematiche, ovvero la rappresentanza del lavoro sommerso o nero e l’integrazione degli stranieri nel mondo lavorativo; basti pensare alle varie imprese cinesi del così detto Caso Pratese. Giovani e immigrati, probabilmente le due fasce di popolazione più deboli della società, sono il tallone di Achille del sindacalismo attuale, non solo a livello locale, ma anche nazionale. Questa sorta di indifferenza, o meglio di disinteresse per queste categorie, se prolungata nel tempo, oltre alla delegittimazione della quale ho già accennato, finirà per portare l’immagine e il ruolo del lavoratore al pari di quella di una persona di livello inferiore, una sorta di schiavo legato a delle catene impugnate dai datori di lavoro, che potranno usufruirne come meglio desiderano. Un lavoratore senza diritti, senza un giorno libero alla settimana, senza una paga dignitosa, lavoratrici che si vedranno abolire la maternità, potrebbero esserne le conseguenze. Non sto parlando di uno scenario apocalittico o surreale, è un qualcosa che un tempo era la normalità; un sistema abolito grazie ad un numero indefinito di lotte e di rivendicazioni, grazie ad un forte dialogo tra politica liberal-democratica, sindacati e società civile, ma soprattutto grazie alla vita di molte persone. E non è da sottovalutare che le pieghe assunte dalla società odierna un giorno possano portare ad un regresso, invece che ad un ulteriore sviluppo.

Tornando a parlare di rappresentanza, vista come l’agire di terzi e arma principale del sindacato, sarebbe opportuno applicarla anche scuole superiori, dove gli alunni che prendono parte al progetto di alternanza scuola-lavoro, potrebbero essere informati sulle tipologie dei contratti lavorativi attuali e di conseguenza, sui diritti e doveri del lavoratore. L’alternanza scuola-lavoro applicata così come è stata ideata non può avere alcuna utilità, non può essere mero sfruttamento di giovani studenti, al contrario deve esaltarne le capacità e assecondarne gli interessi.

Potremmo allora incorporare una sorta di alternanza scuola-società, permettendo così allo studente di decidere il settore dove intraprendere la propria esperienza, se nel campo lavorativo o in quello del volontariato o terzo settore. Quest’ultimo, infatti, offre svariate opportunità per i giovani interessati: aiutare i migranti nell’imparare la lingua italiana, o comunque tutte le varie attività legate all’attuale fenomeno migratorio, prestazione di servizio alle mense dei poveri, attività legate agli anziani, o addirittura agli animali.

In tutti i casi i progetti di alternanza scuola-lavoro o scuola-società dovrebbero essere corredati da nozioni di diritto del lavoro, comprendenti i vari contratti, le tipologie di orario e più generalmente i diritti e doveri del lavoratore. Tutte nozioni date erroneamente per scontate, poiché i giovani che cercano di entrare nel mondo del lavoro si sentono spaesati, privi di guide e di aiuti.

Il lavoro non deve essere solo un’esigenza per vivere o un dovere, ma un diritto: il diritto a svolgere un’attività dignitosa, che ci valorizzi anche come persone, come individui che formano delle collettività organiche, in armonia con il complesso sistema sociale attuale. Quello che viene sociologicamente definito Sistema Mondo.

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