Il limbo degli Italiani senza cittadinanza
Il limbo degli Italiani senza cittadinanza

Il limbo degli Italiani senza cittadinanza

di Martina Alviano, tavolo integrazione GD Prato

 

Dante nella Commedia descrive un luogo chiamato Limbo, dove erano stipate le anime dei pagani virtuosi o dei bambini morti prima di ricevere il battesimo. Oggi il limbo si è fatto reale e drammaticamente attuale: in Italia vivono molti ragazzi e ragazze che per il nostro ordinamento non esistono, solo per il solo fatto di essere nati da genitori non italiani o entrati nel nostro Paese da piccolissimi. Nonostante vivano, crescano e frequentino le scuole italiane, questi ragazzi non hanno la possibilità di essere al pieno partecipi della vita politica e sociale italiana.

 

I più fortunati, quelli nati in Italia, hanno il privilegio di poter richiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno di età fino al loro diciannovesimo compleanno (e non oltre); da qui in poi si apre un delicato e complicato iter burocratico alla fine del quale ragazzi che sono italiani a tutti gli effetti ricevono l’agognato pezzo di carta che consente loro di godere dei diritti e dei doveri di un cittadino italiano.

 

Per gli altri, ovvero quelli che non sono nati nel nostro Paese, la strada è ancora più ripida. Essi possono far richiesta della cittadinanza per permanenza continuata sul suolo italiano se hanno determinati requisiti previsti dalla legge, che variano in base alla loro provenienza (UE, extra UE, aploidi). Oltre a questi requisiti preliminari, sono anche richiesti il certificato di nascita e la certificazione penale. Ulteriori requisiti fissati sono il permesso di soggiorno e un reddito minimo. In aggiunta alla produzione di tali documenti era richiesto, fino a fine Ottobre, il versamento di un contributo di € 200 come tassa. Dallo scorso maggio per “semplificare” tale procedura il tutto può essere effettuato on-line; inoltre la documentazione “italiana” precedentemente richiesta è autocertificata.

 

Quanto fin qui esposto sinteticamente rende assai facile capire quanto sia tortuoso per un cittadino non italiano di nascita il percorso per l’ottenimento della cittadinanza. In un Paese in continua evoluzione, che ambisce ad essere moderno e all’avanguardia in molteplici campi, com’è possibile continuare a lasciare tanti, troppi ragazzi in questo limbo? Le istituzioni hanno il ruolo di adoperarsi dinnanzi al problema appena sollevato sulla cittadinanza e sulle difficoltà riscontrate nelle procedure per ottenerla, affinché la legge non ignori i tanti italiani per identità e appartenenza, ma non per sangue. Ad oggi le varie proposte avanzate per venire incontro a questa necessità sono state fortemente osteggiate, anche tramite vessazioni da parte delle forze politiche che fomentano l’odio razziale e di quanti non comprendono quanto questa esigenza sia primaria per la vita di molti.

 

Dante scriveva che la finalità dell’uomo deve essere la conoscenza, la ricerca del progresso. Per far progredire al meglio la nostra società è necessario porsi il problema dell’integrazione, che non deve in alcun modo essere svilimento o asservimento di una cultura nei confronti dell’altra, bensì incontro e dialogo, interazione. Gli imponenti flussi migratori richiedono che non solo le istituzioni italiane ma anche quelle europee si impegnino affinché la nostra società viva questo progresso: tale obbiettivo può essere realizzato imparando a conoscere chi consideriamo diverso, talvolta per discriminazioni e pregiudizi esterni, talvolta poiché egli stesso si percepisce come parte di qualcosa di differente. Questo meccanismo rende la nostra società più povera e disgregata, e alimenta paure e fondamentalismi. Di questo passo rischiamo di ritrovarci a vivere in un Paese che si muove verso l’inclusione sociale e la parità di trattamento giuridico più lentamente rispetto alle persone che lo abitano: è quindi tempo che le istituzioni politiche trovino una soluzione.

 

Una buona idea, seppur ancora timida, è quella dello Ius Soli temperato o dello Ius Culturae, come proposto e discusso dal Parlamento ma fermo da oltre un anno in Senato. Lo Ius Culturae permetterebbe al bambino di ottenere la cittadinanza dopo un ciclo completo d’istruzione (almeno 5 anni), naturalmente con l’assenso dei genitori, mentre lo Ius Soli temperato consisterebbe nell’attribuire la cittadinanza italiana al bambino nato in Italia da almeno un genitore avente il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Queste proposte, per quanto non siano certo il punto d’arrivo, rappresenterebbero un concreto passo in avanti: la speranza è che questa situazione di en pass venga risolta nel minor tempo possibile, cosicché il limbo torni ad essere un luogo dantesco e non una condizione esistenziale e giuridica di migliaia di persone.

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