Assalto a Capitol Hill: il sipario della democrazia
Assalto a Capitol Hill: il sipario della democrazia

Assalto a Capitol Hill: il sipario della democrazia

Di Fausto Giglioli (membro tavolo Europa e Politica Estera)

e Marta Logli (Responsabile tavolo Scuola)

 

In questi giorni negli Stati Uniti d’America abbiamo assistito a un preoccupante oltraggio alla democrazia: il Campidoglio è stato preso d’assalto, interrompendo la seduta con cui il Congresso avrebbe ratificato la vittoria di Biden.
L’ultima volta che Capitol Hill veniva assediata era il 1814. I sostenitori e le sostenitrici di Trump, che hanno mal digerito la sua sconfitta elettorale, hanno marciato verso il Campidoglio sostenendo che il risultato sia stato manomesso, sorvolando sul fatto che giudici e Corti hanno respinto ogni ricorso in mancanza di qualunque prova di broglio.

La responsabilità non ricade soltanto su Trump, ma anche sulla maggioranza dei Repubblicani che lo hanno supportato finora. Soltanto in extremis il capo della maggioranza in senato Mitch Mc. Connel e il Vice Presidente Mike Pence si sono arresi ad abbandonare la teoria del complotto. E a poco serve che il Great Old Party (il partito Repubblicano) provi a dissociarsi, dopo aver sostenuto le mosse corrosive del loro leader fino all’ultimo.
Questo incendio è stato alimentato per mesi, e la benzina dell’odio, della paura, della disinformazione e della sfiducia verso le istituzioni sono stati versati per anni.
Anche la retorica del secondo emendamento gioca un ruolo nella legittimazione di atti violenti.

L’esito delle elezioni non è stata, quindi, la radice di questo atto.
Se da un lato trascuri quegli strumenti di coesione sociale e garanzia di benessere fondanti in una democrazia, come scuola e sanità, e dall’altro individui un colpevole e alimenti l’intolleranza e l’idea di un ideale americano tradito, lo scenario di Trump, garanzia di tutela di determinati privilegi che rischiano di essere sovvertiti, che lascia la guida della nazione, finisce per accendere la miccia.

Questa circostanza non può essere un termine di paragone con le manifestazioni legate al Black Lives Matter, che non erano sovversive, non delegittimavano il voto americano e anzi hanno avuto il merito di catalizzare l’attenzione su un’ingiustizia, attenzione che si è poi tradotta in risultato elettorale.

Eppure non possiamo non considerare il livello di sicurezza alle manifestazioni BLM in confronto a quello utilizzato in questa occasione. E’ impossibile non parlare di double standard, razziale e politico. Questo benché le manifestazioni BLM siano state in oltre il 90% dei casi dichiaratamente e fattivamente pacifiche (diventando violente solo in risposta alle cariche della polizia o altri casi simili).

Il valore di questo tipo di protesta, oltre a non avere la portata sociale di un movimento che rivendica il diritto alla vita e alla sicurezza per milioni di persone, si esaurisce nella divinizzazione di una figura leaderistica di un uomo non più al comando. Ciononostante la risposta delle forze dell’ordine è stata quasi inesistente se non di supporto ai manifestanti del 6 gennaio, in molti suprematisti bianchi.

I BLM hanno manifestato contro un razzismo sistemico, per diritti che in una Democrazia dovrebbero essere garantiti dalle leggi, per porre finalmente fine alle discriminazioni.

Chiaramente le personalità del Pentagono appuntate da Trump hanno trattato con i guanti i rivoltosi, che volevano prendere in ostaggio parlamentari, soprattutto prima che il fenomeno fosse al centro dell’attenzione mediatica globale, mentre hanno inviato schiere di uomini e donne armati alle manifestazioni pacifiche dei BLM e di altri movimenti per i diritti civili.

In generale hanno permesso che avvenisse questo sfregio delle istituzioni, quando avrebbero potuto prevedere e bloccare tempestivamente il raduno. Era prevedibile la folla armata in quei giorni a Washington DC: decine di post in cui sfoggiavano le armi, raduni organizzati sui social network e continui tweet e discorsi di Trump che inneggiavano a questa incursione.

Siamo dalla parte della comunità nera negli Stati Uniti, dalla parte di chi protesta nel nome di rivendicazioni civili e sociali, dalla parte di chi non tollera più il razzismo sistemico promosso in questi anni di amministrazione Trump anche a livello istituzionale.
Mai dalla parte di chi si ritiene al di sopra della legge e delle regole della democrazia.

Auspichiamo che l’opposizione repubblicana al nuovo Governo, da questo momento in poi, sia espressa attraverso i legittimi e giusti canali democratici.

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