di Maria Rita Paratore, Responsabile Scuola GD Prato
Spesse volte mi interrogo su che cosa sia la conoscenza: se debba appartenere solo ad un’élite, oppure, al contrario, se essa sia un patrimonio di tutti, un bene comune. Credo la seconda. Credo cioè che la conoscenza sia inspiegabilmente contagiosa, non si può fermare: uomini che conoscono non solo non possono fare a meno di conoscere, ma neanche di far conoscere. Una volta in circolo essa non si ferma più. Penso che sia proprio questo il suo potenziale: essa non ha confini, è quel vaso che non si può finire mai di riempire, è libera e gratuita.
Mi ritornano in mente le parole di Baruch Spinoza che nel libro quarto dell’Etica scrive: “il sommo bene di coloro che seguono la virtù è comune a tutti gli uomini, e tutti possono egualmente goderne”. Trovo queste parole a dir poco illuminanti e soprattutto molto coerenti con l’iniziativa che faremo l’11 luglio. La conoscenza, sembra dirci Spinoza, non ha una dinamica esclusiva, ma porta con sé il principio dell’uguaglianza: tutti gli uomini, infatti, possono goderne perché essa non toglie nulla ai partecipanti, differentemente da quanto accade con il denaro o la carriera. Si potrebbe dire, poi, che la conoscenza è contagiosa e provoca ilarità: non solo non può farne a meno il singolo, ma neanche un’intera comunità.
Di questi tempi, credo che si abbia- adesso più che mai- l’enorme necessità di essere contagiati dalla gioia e dalla speranza e credo che la Scuola Pubblica debba essere il primo luogo in cui questo possa avvenire.
Molti saranno in disaccordo. Spesso sento dire che la scuola deve rispecchiare l’andamento della società: a una società competitiva e non inclusiva sta necessariamente una scuola altrettanto competitiva ed esclusiva. Beh, io vorrei che si ribaltasse lo schema di gioco. Cioè se non fosse la società a dettare la linea, ma la scuola? Se cioè investissimo sulla scuola come quel luogo propedeutico per la società del futuro? Riflettendoci giusto un paio di minuti tutto ciò tornerebbe: alla fine, a scuola, stanno crescendo gli adulti di domani. Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione, un giorno alla Festa de l’Unità, con la grinta di un ventenne, ci disse: “la scuola ha bisogno di una Rivoluzione”.
Ecco, credo, a distanza di un anno, che la nostra rivoluzione sia quella di scoprirci umani, sia quello di costruire legami umani e, nolenti o volenti, a scuola ci sta tutto.
Riprendo le riflessioni che dal 2012 in poi hanno impegnato la Federazione degli Studenti di Prato: “da nessun’altra parte abbiamo mai visto un microcosmo che maggiormente rappresentasse quello che è un Paese democratico, con i suoi componenti egualmente rappresentati ed egualmente importanti che, partecipando insieme, tentano di costruire il miglior ambiente dove poter apprendere ed insegnare la vita a tutti coloro che ne fanno parte, indistintamente dalla loro origine o dalle loro storie. (…)”
La sfida della democrazia ha inizio a partire dall’investimento sulla Scuola Pubblica, in particolare, su ciò che è inutile. E credo che questa sfida sia necessariamente legata all’esigenza di una formazione umanistica non fine a se stessa: recuperare i classici significa non solo vivere meglio in termini di soddisfazione personale, credo che significhi soprattutto investire sulla comunità intera. Essi ci aiutano a trovare, cioè, una costante comune a tutti gli uomini che ci rende inevitabilmente uguali nonostante la diversità e, personalmente, ravviso questa costante nella consapevolezza di essere finiti e umani e complessi.
Ad ogni modo, credo che la grande sfida dei classici e delle materie umanistiche sia la consapevolezza. Solo costruendo consapevolezza arginiamo fenomeni come il bullismo, l’emarginazione sociale, l’esclusione. Solo investendo sulla Scuola Pubblica come luogo della riscoperta dell’umano riusciamo a cambiare la nostra società. Inutile citare come i filosofi, i poeti o la storia abbiano cambiato la nostra singola vita. Noi, però, vogliamo cambiare la vita della nostra comunità. Lo possiamo fare, la sinistra lo può fare, partendo dalle città, dai quartieri, costruendo politiche comuni e comunitarie.
La scuola, infatti, non può essere solo un cantiere di pagelle e scrutini a fine anno. La Scuola Pubblica non può avere un tasso di abbandono scolastico nazionale del 14,7% nel 2016, con picchi del 24% in Sicilia e in Sardegna. Una puntuale inchiesta di Christian Raimo, giornalista di Internazionale, evidenzia quanto costi per una famiglia recuperare un anno in un centro studio: tra i tre/quattromila euro. Ovviamente, solo i più facoltosi potranno permetterselo, gli altri più fortunati solitamente si rivolgono alle lezioni private. Una ricerca della Fondazione Einaudi (l’unica disponibile al momento) ci mostra – su un campione di 983 famiglie- i tempi e i costi delle ripetizioni private: per una famiglia del Nord 31,00€ all’ora per 50-60 ore, per un totale di 1900,00€ annui. Il tutto per un giro di affari che si aggira ai 900 milioni di euro annui, 90% dei quali non dichiarati al fisco. E se poi non riusciamo a recuperare uno o due anni, 2,3 milioni di persone in Italia tra i 15 e i 29 anni rientra nella fascia dei cosiddetti NEET (not in education employment or training). Ecco, lascio a voi la libertà di continuare a leggere l’articolo di Raimo e scoprire un po’ le falle del nostro sistema di istruzione pubblica (https://www.internazionale.it/reportage/christian-raimo/2017/06/12/ripetizioni-private-scuola)
Questi pochi dati, comunque, dimostrano già le ombre del nostro sistema educativo. In teoria, non potremmo però permetterci degenerazioni di alcun tipo perché è proprio a scuola che noi formiamo gli adulti di domani. L’istruzione, infatti, è un bene pubblico. L’aggettivo “pubblico” in tedesco si traduce con “öffentlich”, il cui verbo “öffen” significa in italiano “aprire”. Pertanto la Scuola Pubblica è un bene aperto, cioè fruibile da tutti: non è un bene privato, chiuso, ovvero non è élitario. Proprio a scuola, poi, possiamo gettare le basi per la cementificazione di una democrazia libera, solida, partecipata, vissuta e viva.
Voglio che la politica non lasci perdere tutta questa potenzialità, tutto questo futuro che non chiede se non di essere presentificato. Credo che la sinistra debba accettare questa sfida, che il Partito Democratico la debba accettare. Dobbiamo tessere, con nuove formule, con nuovi dispositivi, dialoghi con la società in tutta la sua complessità: gli studenti, gli insegnanti, i dirigenti, le associazioni del territorio. Dobbiamo fare delle scuole luoghi di aggregazione e tessuti di umanità.
Noi GD Prato vogliamo andare in questa direzione, vogliamo realizzare ciò che non è mai stato realizzato.
La città di Prato, infatti, si dimostra essere un vero e proprio laboratorio democratico. Le dimensioni limitate, la eterogeneità nella distribuzione delle scuole sul territorio, la multietnicità, la presenza di un associazionismo e cooperativismo radicato, fanno di Prato un vero e proprio laboratorio in cui sperimentare nuove forme di partecipazione democratica, partendo proprio dalla Scuola Pubblica.
La politica ha il difficile compito di creare le condizioni per un benessere condiviso, rispondendo sì alle urgenze, senza esimersi, però, dalla responsabilità verso il futuro. La nostra urgenza, per quel che concerne l’educazione, è quella di dare risposte a quel 17,8% (dato 2016) di ragazzi che abbandonano precocemente la scuola, alle loro famiglie, agli abitanti dei quartieri più difficili, ma lo si può fare solo se creiamo le condizioni per la riscoperta dell’umano attraverso, ebbene sì, l’inutile.
Per questi motivi, abbiamo l’ambizione di tenere aperte le scuole secondarie di secondo grado oltre l’orario curriculare. Le scuole superiori sono, infatti, quell’importante scalino, da una parte, verso l’autonomia di pensiero critico e, dall’altra parte, verso la necessità di un confronto con l’altro, la necessità di comunità, di gruppo. Vogliamo che le scuole diventino dei veri e propri poli aggregativi in città, rappresentando un’opportunità sia per gli studenti e i giovani, sia per le comunità di ciascuna zona della città.
Da una parte, infatti, si contribuirebbe ad una formazione continua dei ragazzi, grazie all’aiuto di insegnanti e associazioni culturali e di volontariato del nostro territorio, con attività extracurriculari gratuite come teatro, musica, esperienze di autogestione formative, sport eccetera. Dall’altra parte, aprendo – o ricostruendo laddove necessario- biblioteche scolastiche, investendo su poli sportivi e altrettanti poli multiculturali aperti a tutta la comunità, faremmo rivivere zone della città come il Polo Reggiana, il Macrolotto 0 e il Polo di via Galcianese.
Vogliamo che l’educazione, nel suo senso originario di educere, “tirare fuori”, sia quel filo che tenga unito le nostre comunità, che costruisca benessere, abbatta le paure, ci renda liberi insieme ed uguali. Insomma, vogliamo una città contagiata dalla conoscenza. Vogliamo costruire ilarità, quella parola tanto cara al buon vecchio Baruch.