I classici e le sfide della contemporaneità
I classici e le sfide della contemporaneità

I classici e le sfide della contemporaneità

di Immacolata Ranucci

E se l’inutilità delle materie umanistiche non risiedesse nel loro contenuto in sé, ma piuttosto nel modo in cui vengono insegnate e sottoposte agli studenti?

Dopo anni e anni di ore passate ascoltando lezioni di storia e studiando libri pieni di date e nozioni, ho avuto una sorta di rivelazione illuminante sulle potenzialità di questa materia, ritenuta forse tra le più noiose e antipatiche, assistendo alle lezioni universitarie di Storia Internazionale, durante le quali il professore spendeva la metà del suo tempo nello spiegarci in che modo eventi attuali derivano da quelle situazioni passate che eravamo tenuti a sapere. Banalmente la differenza che mi ha fatto apprezzare l’insegnamento era proprio di tipo quantitativo: non basta dire una volta ogni tanto, a studenti annoiati, che “questo vi servirà per capire quello che oggi e domani accade e accadrà nel mondo”. Per comprendere l’importanza fondamentale delle materie umanistiche, sempre più ingiustamente screditate, serve un cospicuo e costante ancoraggio alla quotidianità, all’esperienza dell’individuo recettore. L’appassionato di letteratura o di storia o di filosofia continuerà comunque a leggere e informarsi per il solo piacere di farlo, ma tutti gli altri?

È davvero così difficile ammettere che qualcuno ha bisogno di un “buon motivo” per leggersi Aristotele? È davvero una sconfitta prendere atto del fatto che non tutti ritengono utile leggere Orwell?

Forse la cosiddetta “inutilità” si potrebbe contrastare con lezioni più interattive, con un metodo di insegnamento meno frontale, più compartecipato, più intriso di attualità, di auto-riflessività. E per questo non servono meno ore di scuola, anzi. Ma che sia una scuola non vissuta solo dietro i banchi e sopra i libri. Le sfide della contemporaneità ci impongono di ripensare la formazione dei cittadini, lavoratori, innovatori di domani. Un metodo di studio troppo teorico viene scontato negli anni successivi, che vedono l’ex-studente inserirsi nel mondo del lavoro: in quel momento la capacità di fare connessioni e ragionamenti di tipo sistemico e organico è un elemento, addizionale alle competenze tecniche, sempre più determinante, così come la capacità di collaborazione.

Le materie umanistiche hanno un potenziale in questo senso, prestandosi perfettamente alla reinterpretazione del reale e del quotidiano, permettendo allo studente e all’insegnante di esplorare aspetti più marginali in un contesto ampio e articolato. Lo studente deve essere necessariamente guidato in questo percorso multidisciplinare che si servirebbe delle materie umanistiche per ricostruire aspetti fondamentali della nostra società e cultura attuali, andando a toccare temi anche più complessi – e attualissimi – quali l’economia (che molto ha a che vedere con la filosofia e la storia), il diritto (di cui molti aspetti sono ricollegabili sempre alla filosofia ma anche alla cultura latina), l’etica, la politica, o anche le nuove forme di comunicazione.

Le materie umanistiche, il patrimonio storico e culturale, non possono inoltre limitarsi all’analisi dei classici e dell’antico. Escludere dall’insegnamento rivolto alle nuove generazioni la recente produzione letteraria, filosofica, storicistica significa forse anche lanciare un messaggio sbagliato quanto controproducente. Gli studenti hanno tanto da imparare dal passato quanto dal presente. Qual è l’utilità di studiare Nietzsche se non si conosce Bauman? O di studiare Marx se non si conosce Berlinguer? O di studiare la crisi del ’29 senza comprendere anche quella che stiamo vivendo?

L’utilità dell’inutile allora non può essere solo implicita, non possiamo affidarci semplicemente alla buona volontà e al patrimonio culturale familiare del singolo. E se l’educazione dei giovani è un compito che spetta alla comunità intera, non si può sottovalutare l’apporto tecnico-culturale della stessa società attuale, in cui l’individuo cresce e si forma.

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