Integrazione
Integrazione

Cosa significa integrazione e perché vogliamo parlarne

di Maria Logli

L’integrazione, in relazione all’immigrazione, è un concetto particolarmente delicato, che suscita più o meno legittimamente critiche di carattere ideologico, economico, culturale e di sicurezza: alla base di molte argomentazioni vi sono spesso la volontà di preservare la nostra identità culturale e le nostre tradizioni, di evitare eccessi di buonismo in un momento di crisi, di porre in luce l’inconciliabilità degli aspetti caratteristici di differenti civiltà o religioni (prevalentemente in riferimento a quella islamica), e di sottolineare l’ingiustizia di fondo che risiede nelle concessioni date ai migranti quando non ci sono sufficienti tutele per gli italiani, che dovrebbero essere la preoccupazione prioritaria dei politici.

Perché, dunque, vogliamo l’integrazione?

Integrazione è un termine che ha valore reciproco e si riferisce all’atto di unirsi, fondersi o completarsi, spesso attraverso il coordinamento dei propri mezzi; l’integrazione tra Stati, ad esempio, è il processo attraverso il quale questi attuano fra loro una cooperazione tendendo all’unificazione delle proprie risorse.

Forse è proprio per questo aspetto della reciprocità che talvolta vengono sollevate polemiche sul fatto che la spinta verso l’integrazione debba venire prima di tutto dall’altro, colui che arriva; si afferma inoltre che un’integrazione totale sia utopica o che richieda eccessivi sforzi di tipo economico sulle spalle degli italiani, nonché l’inevitabile rinuncia ad una parte fondamentale delle nostre tradizioni e della nostra identità culturale. Nel sostenere l’impossibilità di gestire in modo tollerabile un afflusso tale da poter essere definito “invasione”, sia numerica sia culturale, si è soliti citare, in particolare, il caso degli islamici.

Per quanto riguarda l’idea di un’invasione, proposta con frequenza da alcuni schieramenti politici e media, non vi sono dati che possano soddisfare le condizioni affinché tale concetto sia attinente alla nostra situazione. In vent’anni la proporzione dei musulmani rispetto agli stranieri in Italia non è cambiata: nel 1993 i musulmani erano circa 318mila, un terzo del totale di stranieri (987.505); come emerge dalla rilevazione di Idos del 2015, nella redistribuzione complessiva dei credenti stranieri in Italia, la loro non è cresciuta, ma è rimasta stabile al 32%.

E’ dello stesso giudizio anche Open Migration, un portale informativo dedicato alle migrazioni e agli stereotipi che sono alla base delle interpretazioni allarmiste. In Italia abbiamo l’8,2% di stranieri, leggermente superiore all’incidenza media in Europa del 6,7%, ma ci precedono la Svizzera (23,8%), l’Austria (12,4%), l’Irlanda (11,8%), il Belgio (11,3%), la Spagna (10%), la Norvegia (9,4%) e la Germania (8,7%). Un paese come la Francia che prevede il diritto di cittadinanza per nascita nel paese, detto “Ius Soli”, numericamente risulta avere un’incidenza di stranieri minore rispetto agli altri paesi (6,3%), poiché i figli di stranieri vengono considerati cittadini francesi.

Per quanto riguarda la frequente polemica sui soldi spesi per il lusso degli immigrati, si fa forse riferimento ai 35 euro al giorno che vengono dati alle cooperative per gestire ciascun richiedente asilo, e che quest’ultimo non vedrà se non in minima parte e tramite beni di prima necessità; sui problemi economici che gli immigrati ci portano, poi, la riflessione è interessante osservando i dati dell’Istat e del Ministero delle Finanze, dai quali emerge che, in relazione agli stranieri, le entrate dell’anno 2014 ammontano a 16,5 miliardi mentre le uscite a 12,6, per un saldo di +3,9 miliardi.

Dunque, dato che l’immigrazione è sostenibile dal punto di vista economico e del tutto prevedibile dal punto di vista numerico, non resta che parlare della perdita della nostra identità culturale e della nostra tradizione.

Quando sentiamo che la nostra tradizione è in pericolo, interroghiamoci su cosa siamo, in cosa ci identifichiamo, da dove veniamo. Se ci guardiamo alle spalle, capiremo che non siamo giunti qui con una tradizione immutata: i nostri costumi non provengono da un preciso territorio, nel quale era stanziata l’unica e antica popolazione italica, ma siamo un meraviglioso miscuglio eterogeneo d’inscindibili combinazioni di popoli. Possiamo attraversare il mondo identificandoci ora con una famiglia di Betlemme, ora con Ulisse che attraversa il mare, e risalire alle nostre origini attraverso gli influssi arabi in Dante o quelli orientali nell’ellenismo. Da chi dovremmo difenderci? Tutto ciò che oggi fa crescere in noi la paura di snaturarci, è già in noi.

E, se anche la nostra tradizione fosse rimasta statica, quanto sarebbe effettivamente utile e realistico pretendere che tutto resti com’è, nella visione anacronistica di una sorta di Stato nazionale in cui la cittadinanza ha una cultura omogenea che corrisponde ai limiti geografici? Solidità non è sinonimo di staticità: una dinamica di collaborazione e di costante dialogo tra elementi del passato e necessità che si prospettano per il futuro può portarci a plasmare la città sui propri abitanti, che, sentendosi rappresentanti, possono contribuire al benessere della realtà a cui appartengono, fino all’instaurarsi di un circolo virtuoso tra istituzioni e cittadinanza, in cui nessuno viene lasciato fuori.

Se il problema è che attualmente, come paese dell’Unione Europea, abbiamo raggiunto una presunta superiorità culturale o abbiamo visto un processo d’incivilimento e democratizzazione che i migranti non hanno conosciuto nei paesi da cui provengono, dovremmo allora impugnare questa suddetta civiltà con ciò che la caratterizza e ne è vanto, e affrontare il presente in maniera coerente con valori quali la tolleranza, l’inclusione, l’uguaglianza. Civiltà significa anche consapevolezza che una realtà integrata con se stessa è più forte, poiché gli individui che giungono a sentirsi pienamente cittadini e che hanno sviluppato un saldo senso d’appartenenza possono facilmente riconoscersi nel sistema di valori che rende una società coesa: sta alle istituzioni fornire ad ogni individuo gli strumenti per divenire cittadino, cosicché quest’ultimo possa contribuire al benessere della comunità.

L’accoglienza dei migranti a Prato

di Maria Logli

A causa della preoccupante crescita dei conflitti degli ultimi 5 anni (8 nuove guerre in Africa, 3 in Medio Oriente, 3 in Asia ed 1 in Europa) il numero di persone che decidono di migrare è in crescita: si registrano, secondo l’UNHCR, 60 milioni di rifugiati, dei quali 38,2 milioni sono sfollati interni, 1 milione e 800 mila persone richiedono l’asilo, mentre i rifugiati in senso stretto arrivano a quasi 20 milioni.

Gli arrivi via mare nel corso del 2015 sono stati 366.402, il cui 49% proviene dalla Siria, il 12% dall’Afghanistan, l’8% dall’Eritrea, il 4% dalla Nigeria, il 3% dall’Iraq, il 3% dalla Somalia, il 2% dal Sudan, il 2% dalla Repubblica del Gambia, l’1% dal Bangladesh ed altrettanti dal Senegal.

Per quanto riguarda le rotte, le principali sono due: quella italiana, per i provenienti da Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Grecia, che puntano soprattutto a Francia e Nord Europa, e quella balcanica, poiché dalla Grecia si intende passare attraverso Macedonia e Serbia per raggiungere l’Ungheria.

Infatti, in quanto ad arrivi, la Grecia è il paese che ha subito il flusso maggiore (244.855 persone) mentre in Italia circa la metà (119.500 arrivi). A Malta sono registrati 94 arrivi.

In un periodo storico in cui i flussi migratori sono dunque ormai prevedibilmente crescenti, è necessario cambiare la connotazione emergenziale che ancora caratterizza il sistema d’accoglienza per strutturare una soluzione che affronti la problematica in modo più globale.

A livello dei singoli territori, di conseguenza, un problema d’integrazione viene gestito come un problema d’ordine pubblico.Per capire il funzionamento del sistema d’accoglienza a livello pratese, abbiamo deciso d’incontrare le associazioni che hanno vinto il bando della prefettura per occuparsi di tale servizio: Opera Santa Rita, Cooperativa Pane e Rose, Consorzio Astir.

Dai primi incontri informali abbiamo imparato moltissimo, dal criterio di distribuzione (che avviene secondo la decisione ministeriale, in proporzione alla popolazione a livello provinciale) alle modalità con cui si svolge la richiesta d’asilo, dai servizi che vengono dati al richiedente alle misure prese al fine di renderlo autonomo una volta che si è inserito nel successivo sistema di protezione (SPRAR).

Abbiamo incontrato gli operatori che si occupano di accoglienza con la Cooperativa Pane e Rose, che si sono mostrati disponibili a raccontare la loro esperienza lavorativa, grazie alla quale abbiamo potuto riflettere su quale potesse essere il nostro contributo.

E’ emersa la volontà di creare situazioni in cui queste persone possano uscire dagli appartamenti e stringere legami, prender parte a delle attività, sentirsi parte di una società, autonomizzarsi dal punto di vista psicologico, sociale ed, ovviamente, economico.

Per fare ciò, è importante che non abbiano solo rapporti in cui ricevono, ma anche in cui danno: i momenti di scambio sono fondamentali e non possono dipendere esclusivamente dalla volontà di alcuni volontari. Per questo vorremmo istituzionalizzare incontri in cui sia possibile questo tipo di interazione con associazioni che svolgono attività sportive, ricreative, culturali.

Sarebbe inoltre interessante mettere a contatto una realtà come quella dei profughi con individui provenienti dall’ambiente scolastico, cosicché si crei un’opportunità costruttiva e formativa dal punto di vista relazionale, linguistico e culturale: potrebbero aver luogo tandem linguistici, scambi culturali, tornei sportivi e molto altro con alunni che frequentano le scuole medie superiori e studenti delle università straniere presenti a Prato nonché delle università presenti nei territori limitrofi.\n\nPer intraprendere questo percorso è nostra intenzione incontrare\nassociazioni con le quali instaurare un rapporto di collaborazione, visitare gli appartamenti in cui i migranti vengono ospitati, organizzare iniziative e vivere un’esperienza che ci accrescerà dal punto di vista personale e politico.

Se siete interessati potete unirvi a noi: la data dei prossimi incontri è indicata sul nostro calendario.

http://www.nextprato.it/
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